Guerriglia a Roma, dov’erano i servizi segreti?

Guerriglia a Roma, dov’erano i servizi segreti?

Ma che fine hanno fatto i servizi segreti? Il disastro che sta avvenendo in queste ore a Roma non è solo un affare di sicurezza interna, con la responsabilità del ministro Maroni. L’arrivo a Roma di frange violente e organizzate, in comunicazione e con casco alla cinta già dalla mattina, è qualcosa che i servizi avrebbero dovuto intercettare e annientare giorni e giorni prima del caos di oggi.

Da notizie dirette siamo sicuri del fatto che la maggior parte, se non quasi tutti i partecipanti al corteo avessero intenzioni pacifiche. Una militanza armata di duemila persone (al massimo) ha preso in ostaggio il centro cittadino. Preoccupa l’effetto emulazione: nelle masse ci sono soggetti che si fanno trascinare, e il danno dei pochi organizzati viene amplificato da coloro che si mettono in scia.
Forse è il caso di iniziare a ripensare all’assetto dei servizi. L’ultima riforma è del 2007: Sismi e Sisde sono diventati Aise (per l’estero) e Aisi (per l’interno). Cossiga, forte della sua tragica esperienza in materia di manifestazioni (nonché di una riforma dei servizi nel 1977), ebbe a commentare che questo dualismo simboleggiava il potere del Ministero della Difesa su quello dell’Interno. In poche parole, i servizi interni continuano a essere una sorta di “super-Digos” e “super-Ros”, ma “senza le funzioni di polizia di sicurezza”, comprese intercettazioni preventive e le funzioni di polizia giudiziaria.

Non abbiamo informazioni per valutare l’efficacia dei servizi esterni, ma sembra che l’assetto interno non sia assolutamente in grado di rispondere al nuovo tipo di minacce per la sicurezza. Fino a tre anni fa, la priorità era l’antiterrorismo estero. Adesso che la risacca di Al-Quaeda sta trascinando con se parte dei problemi, si sta aprendo un fronte interno di difficilissima gestione. I fatti di Roma dimostrano che l’Aisi non è in grado di prevenire le minacce domestiche.

Sarebbe interessante conoscere i motivi che hanno portato al caos: se il problema dei servizi è di assetto o di competenza professionale. Sarebbe opportuno iniziare a considerare una struttura unica per l’interno e l’estero, come già hanno iniziato a fare alcuni paesi europei. È innegabile che esista un collegamento tra frange violente in diversi paesi, in maniera più strutturata e discreta rispetto agli anni Novanta: separare interno da esterno risponde a ragioni di potere e burocrazia, più che di gestione reale dei problemi. 

Speriamo solo che, se un cambiamento ci deve essere, una riforma possa intervenire tempestivamente, almeno a livello di coordinamento delle strutture esistenti, e di competenze dell’Aisi. Alla fine, a rimetterci non sono i deficienti che spaccano le vetrine, ma le ragioni di chi manifesta pacificamente. 

Tanto che su internet si diffonde già la dietrologia, soggetto arboreo che nella serra della rete trova le condizioni ideali per fiorire. Tutti i violenti sarebbero infiltrati della polizia: per questo “non vengono arrestati”. Non vogliamo credere a questo. Ma quali sono stati gli interessi che hanno impedito ai servizi di funzionare bene? 

X