Ma a Bankitalia serve un vero mea culpa

Ma a Bankitalia serve un vero mea culpa

La nomina del nuovo Governatore è l’occasione per celebrare la Banca d’Italia ed i suoi esponenti. Eppure qualcosa ci sarebbe da dire. Poche istituzioni in Italia godono del prestigio di cui gode la Banca d’Italia o così almeno si dice.

Poche istituzioni godono anche dell’autonomia di cui gode la Banca d’Italia: qualcuno potrebbe dire che poche istituzioni in Italia sono tanto autoreferenziali quanto la Banca d’Italia. Non solo non vi è modo di condizionarne l’azione ma è anche assai difficile comprenderne le dinamiche decisionali. Una comunicazione misurata avvolta in forme rituali, persino nel confezionamento grafico degli atti, gestisce e conserva l’immagine dell’Istituto. Si sa soltanto quel che viene fatto conoscere. Persino il diritto di accesso agli atti, così ampiamente utilizzato nella dialettica tra cittadino ed istituzioni, è mezzo spuntato quando si tratta della Banca d’Italia. I suoi dipendenti non riferiscono i reati di cui vengano a conoscenza al Pubblico Ministero come un qualsiasi altro pubblico ufficiale ma soltanto al Governatore. Per decenni il sindacato di merito sui provvedimenti sanzionatori è stato, anomalia assoluta, ridotto ad un unico grado davanti ad un unico giudice buono per tutta Italia. Il potere che la Banca d’Italia gestisce è in compenso immenso e connotato da una discrezionalità amplissima e per i vigilati è più simile a quello di un Dio che atterra e suscita che a quello di una normale amministrazione dello Stato. La dialettica può ritornare ordinaria quando un pubblico ministero si imbatta in intercettazioni che paiono rivelare abusi piuttosto che esercizio di discrezionalità: in quel caso paga il singolo anche se fino a quel momento il singolo era osannato non solo come Governatore ma anche come teologo e filosofo. Il sistema di regole rimane però identico e la critica estranea.

Il grande merito che viene attribuito alla Banca d’Italia è di avere dagli anni Trenta ad oggi impedito di perdere un solo centesimo anche ad un solo depositante. E’ certamente vero anche però che dal Banco di Napoli, alla casse di risparmio meridionali, a qualche banca di credito cooperativo dei giorni nostri i soldi qualcuno ce li ha messi e non sempre volentieri. I prossimi mesi potrebbero essere gravidi di novità: ancorchè oggi si discetti di Tier 1 e di Tier 2, per il passato la garanzia per i depositanti è stata, il più delle volte, data dal valore dell’azienda bancaria. Se l’intermediario era in difficoltà un altro più forte ne raccoglieva le spoglie a ciò indotto dal valore dell’avviamento che così gli veniva trasferito. Oggi non vi è banca italiana delle maggiori che non quoti in borsa una frazione del patrimonio netto e a cui il mercato non attribuisca quindi un avviamento negativo. Il Monte dei Paschi che acquistò la Banca Antonveneta, quando le prime avvisaglie della crisi erano già chiare all’orizzonte, pagando per essa sola nove miliardi oggi ne capitalizza quattro dopo avere aumentato il capitale di due. In Spagna ancora ci ringraziano per quell’operazione che evidentemente non contrastava con la sana e prudente gestione e che è valsa anche all’avv.Mussari la presidenza dell’ABI a confermarne il valore ed il senso nel sistema. Il Banco Popolare, che ha salvato Banca Italease, capitalizza meno di due miliardi dopo che ha aumentato il proprio capitale solo pochi mesi fa di altrettanto. I titoli subordinati tier 1 del Banco rendono oggi più del 25%: un numero che da un’idea. La Banca d’Italia ha consentito che si pagassero avviamenti elevatissimi da parte di banche italiane, Banca Italease è cresciuta per anni con numeri strepitosi senza che nessuno si chiedesse se più che prodigio non fosse inganno. Mai nella storia d’Italia il rapporto tra rischi e valore delle aziende è stato così basso.

A fronte di una sistema che ha raggiunto una condizione di debolezza che quindi non è evidentemente conseguenza solo della crisi, vi è da ricordare che la pretesa forza delle banche italiane nella crisi del 2008 (in realtà soltanto una diversa incubazione della malattia) era conseguenza di utili ottenuti in forme alquanto discutibili e rivelatrici di una cultura del sistema in cui ciò che conta è la stabilità dell’intermediario e non la tutela del risparmio. In realtà era solo miopia: i danni reputazionali sono stati enormi, le cause infinite. I bond argentini sono stati venduti a piene mani come in nessun altro paese del mondo e spesso per effetto di redditizie negoziazioni fuori mercato. I derivati, accesi con caricamenti occulti di dimensioni davvero abnormi ed al di fuori di ogni ragione di copertura, hanno infestato non solo tutto il sistema delle piccole e medie imprese ma addirittura molta parte degli enti territoriali italiani. Polizze dai caricamenti e dai vincoli irragionevoli irrobustivano i conti economici delle banche che sono riuscite in tal modo a riempire i clienti perfino di bond islandesi. Una malattia del sistema indotta dal sistema competitivo che ha nella Vigilanza il primo responsabile. I conti economici basati su queste infestanti erano considerati per autorizzare l’apertura di nuovi sportelli e per valutare la congruità degli avviamenti pagati. Tra gli attivi delle banche ci sono quindi i costi sostenuti per sportelli che saranno chiusi e che non saranno pochi.

Le fondazioni, apprezzate dalla Banca d’Italia quali fattori di stabilità ed un tempo anche di “italianità”, sono oggi azionisti squattrinati non in grado di ricapitalizzare adeguatamente le partecipate e sono esse stesse quindi una fonte ulteriore di preoccupazione e non certo di forza o di stabilità del sistema. Attraverso di esse personale passato dalla politica ed avendo questo come principale referenza, è giunto al vertice del sistema bancario. Se invece si guarda alla capacità del sistema di generare nuove figure di imprenditori il quadro è deprimente. Buona parte dei migliori gestori italiani sono all’estero e nel risparmio gestito la quota di mercato in Italia degli intermediari nazionali scende di anno in anno. Oltre al carico fiscale, pesa anche l’atteggiamento della Vigilanza verso chi è piccolo e nuovo e pesano i tempi lunghissimi dei procedimenti amministrativi gestiti dalla Banca d’Italia che con pochi intermediari da vigilare probabilmente correrà meno rischi di vederne andar male qualcuno ma certo non contribuirà né ad attrarre, né investimenti, né reddito imponibile, né opportunità di lavoro nel nostro paese. Anche perché non pare che altre ed assai più attrattive giurisdizioni abbiano intermediari con più problemi di quelli italiani. A ciò si aggiunga che il Mezzogiorno e le isole sono ormai prive da molti anni di gruppi bancari di dimensione importante e presssochè privo di qualsiasi attività di gestione.

Mentre ascoltiamo i peana che giungono da ogni dove per il nuovo Governatore e per l’Istituzione, dunque, dovremmo chiederci come mai nessuno si chiami mai fuori dal coro.

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