Il “caro estinto”, politicamente parlando, prima o poi, ma molti scommettono ormai sul prima, lascerà la sontuosa dimora di palazzo Chigi. Bossi gli dà pochi mesi di vita, nel Pdl si moltiplicano i segnali di inquietudine degli scontenti di rito democristiano. Intanto cresce l’allarme per la condizione dell’Italia, declassata non solo dalle agenzie di rating. La Chiesa corre ai ripari organizzando il mondo cattolico per non farlo seppellire dalle macerie del lungo appoggio al governo. Confindustria, per la prima volta nella sua storia, è passata all’opposizione militante. Nuovi partiti si affacciano all’orizzonte cercando di ereditare il voto moderato mentre il mondo radical si divide fra apocalittici e neo-integrati. Tutto si muove meno uno. Il Pd, infatti, ormai maggior partito italiano grazie più che ai suoi successi al repentino crollo dei suffragi del PdL, continua a girare al largo, in drammatica e silente solitudine, diviso più che mai secondo linee ormai indecifrabili, mentre tutti si aspettano che avanzi autorevolmente la propria candidatura per la guida del Paese.
Non si sa ancora con chi si vuole alleare e con quale strategia, ma soprattutto non si sa che cosa propone al paese. Se può sembrare persino comprensibile, anche se non condivisibile, l’incertezza sugli alleati di fronte a uno scenario che può prevedere l’avvento di un governo di emergenza, con referendum alle porte, o le elezioni anticipate, non è assolutamente accettabile che manchi il progetto attorno a cui costruire l’Italia di oggi e di domani. E’ questa la questione pesante dell’identità riformista che minaccia di togliere credibilità e consenso a un partito che considera obsolete le socialdemocrazie ma manca della loro vivacità nel dibattito interno.
L’Italia ha partecipato alla grande al banchetto mondiale della “Grande prosperità”, come ha definito il periodo che va dal 47 al 75 l’economista, collaboratore di Clinton, Robert B. Reich. E’ in quella lunga stagione che l’economia ha conosciuto il più grande balzo in avanti, la capacità produttiva del paese si è moltiplicata, l’ascensore sociale è stato puntato verso l’alto, la modernizzazione ha sconvolto la vecchia società e i suoi riti, modi di vivere e di pensare, antiquati. Dopo di allora il paese ha vissuto nell’illusione di potersela cavare senza scegliere più che cosa produrre, come e per chi e come organizzare lo Stato e le relazioni sociali. Nel paese c’è stato chi è andato avanti e chi si è fermato. Molti sono lentamente tornati indietro. Il sistema politico intanto si avvitava e l’agonia democristiana e la fine della fase propulsiva del Pci favorivano ricette semplificate, dal craxismo al berlusconismo, che hanno aggravato la crisi.
Lo scollamento fra l’economia e la politica è via via diventato drammatico anche se l’una e l’altra si sono sorrette in un gioco di specchi che ha impedito di vedere la bufera all’orizzonte. Oggi siamo vicini al D-Day. Non si può più scherzare perchè stiamo consumando giorno dopo giorno tutte le risorse umane, politiche e sociali che ci hanno tenuto in piedi. Il probabile futuro partito guida del paese non può limitarsi, quindi, al censimento dei danni e all’indicazione della responsabilità di chi ha finora governato. Nè può chiamarsi fuori dalle proprie responsabilità. La prima Dc indicò agli italiani la società che voleva, pagò dei prezzi e ne fece pagare anche a una parte del proprio mondo. Anche per questo, e non solo per il bonus della guerra fredda, governò a lungo. Il Pd invece agli albori della propria ascesa al governo tergiversa e scantona. Vogliamo porgli alcune domande.
Non sappiamo ancora qual è il suo giudizio storico sulla crisi. Molti pensano che l’Italia debba tornare a produrre merci, sviluppando l’economia reale a svantaggio di quella di carta con un forte impulso verso il manifatturiero. E’ il tema di tutte le società occidentali che richiama la necessità di indicare i settori – un tempo furono l’acciaio, l’auto e la chimica – in cui l’Italia deve tornare a primeggiare e anche il modo in cui deve organizzare il rapporto fra i soggetti sociali. Nella competizone internazionale non si sopravvive se non si primeggia in qualcosa, non si aprono nuovi mercati, non si allarga il mercato interno. Marchionne offre una soluzione tardo liberista. Meno regole a tutela del lavoro, meno regolazione pubblica delle relazioni sociali per fare più auto. Bossi e i superstiti del berlusconismo si stanno aggrappando a lui. Il Pd quali imprese considera strategiche per la nuova Italia e con quale modello sociale? Il problema non è quante volte Marchionne dovrà andare a cena con Fassino ma quale economia il gruppo dirigente del Pd ha in testa.
Il fisco è stato per un lungo tratto la bandiera della sinistra di governo. Vincenzo Visco ad un tempo l’eroe eponimo o l’anatroccolo nero. Oggi leggiamo il manifesto delle imprese e scopriamo una intelaiatura forte e moderna di un sistema fiscale equo che ridefinisce anche la fisionomia del cittadino contribuente spingendolo a mettere nel calcolo tutti i suoi redditi. Dal Pd abbiamo poche novità nel timore di scontentare la platea dei votanti. il tema è la pressione fiscale sulle aziende e sul lavoro. Se questo è il centro il resto seguirà. Patromoniale compresa.
I democrats e i socialdemocratici più pensosi stanno liberandosi della suggestione dello stato minimo. Il già citato Reich, in un bel libro molto apprezzato da Michele Salvati, parla di mumerosi campi, dal sostegno alla riqualificazione dei lavoratori che hanno perso l’impiego agli investimenti su scuola, università e ricerca, che lo Stato deve rioccupare. Tuttavia una nuova presenza pubblica non è scindibile dal tema dei suoi costi e dei suoi sprechi. Se la lettare della Bce è inaccettabile per chi teme una rivoluzione sociale con la riduzione dei salari dei dipendenti pubblici, non c’è dubbio che emerga con sempre maggiore drammaticità il tema del ridimensionamenrto della macchina pubblica per recupererare l’efficenza. Ci può dire il Pd che cosa pensa di fare, subito non domani?
Le pensioni scantenano antichi riflessi nella base della sinistra ma non solo della sinistra. Tuttavia l’intera Europa ha stabilito un’età pensionabile più alta di quella italiana. Il Pd non la dice chiara. E’ bene che si sappia con nettezza come è orientato.
Non c’è dubbio che le politiche sull’emigrazione dei governi di centro-destra siano state declamatorie e dannose. Il Pd probabilmente e giustastamente si proporrrà di abrogare la norma sul reato di immigrazione clandestina. Ma qual è l’idea generale su questa materia? Siamo al “tana liberi tutti”? La destra non è stata capace di stabilire un dialogo con l’Europa e si è dovuta misurare con i cambiamenti nel mondo arabo che ci sta di fronte. Il centro-sinistra come intende disciplinare l’accoglienza visto che anche a sinistra sono sempre meno quelli che pensano di tenere le frontiere aperte?
Infine il Sud. Nel secondo dopoguerra si incontrarono il riformismo cattolico e quello di sinistra sul tema della rottura del latifondo, a vantaggio della proprietà contadina, e sull’industrializzazione accellerata con la cassa del mezzogiorno e le cattedrali nel deserto. Oggi non c’è una sola idea. Può il Sud vivere di turismo? Quali sono i campi in cui vanno create le occasioni per un risveglio produttivo del Mezzogiorno facendo leva anche sulle non poche isole di modernità che sono sopravvissute o addirittura si sono fatte largo?
Potremmo continuare a indicare temi e problemi. Quello che sta a cuore è avere un’idea di quel che il Pd prepara per il paese. L’identità politica per un partito moderno non è l’evocazione di uno scenario di là da venire ma il contenuto concreto della sua battaglia per rinnovare una società. Il pensiero politico si sta scuotendo dal suo torpore, gli economisti hanno ripreso a contendersi la scena con ricette contrapposte, il mondo vive forse la sua più difficile trasformazione. La sinistra non può stare ferma, non può diventare una buca delle lettere in cui si ammassano le richieste contraddittorie della società. Deve scegliere e scegliendo deve far capire chi è e che cosa fa. Ma soprattutto se serve.