BRUXELLES – L’occasione era di quelle importanti per Antonio Tajani, vicepresidente della Commissione Europea e commissario all’Industria: la presentazione del rapporto sulla performance e le politiche di competitività degli Stati membri. Di questi tempi, con la crisi economica e l’emergenza debiti sovrani, ci stava piuttosto bene. Certo, per l’Italia è l’ennesimo giudizio poco consolante, il Paese ne esce malissimo in termini di peso della burocrazia e neanche troppo bene quanto a innovazione economica. Ma tant’è, del resto il punto qui è un altro.
Tajani, che già non è gettonatissimo sui grandi giornali stranieri, questa volta è riuscito ad attirarsi l’ira dei corrispondenti accreditati a Bruxelles per occuparsi dell’Unione Europea – e dunque anche di cose come il rapporto in questione – e anche dell’Api (l’Associazione della Stampa Estera a Bruxelles) per una curiosa scelta. Mentre questa settimana il suo collega all’Agricoltura Dacian Ciolos (rumeno) ha ovviamente presentato a Bruxelles la riforma della Politica agricola comune, così come ha fatto il titolare dell’Allargamento Stefan Füle (cèco) presentando le raccomandazioni su sei candidati all’adesione, Tajani ha pensato bene di fare la sua conferenza stampa, guarda un po’, a Roma. Notoriamente, pur avendo ospitato la storica firma dei Trattati fondativi della Comunità Europea, la Città Eterna non è una delle sedi dell’Unione Europea. Un piccolo dettaglio del quale evidentemente non si è preoccupato troppo il nostro “rappresentante” alla Commissione, spedito da Silvio Berlusconi nel 2008 a sostituire Franco Frattini, divenuto ministro degli Esteri.
La conferenza stampa romana è avvenuta alle 12, in contemporanea al consueto briefing quotidiano della Commissione, alla sede della Stampa Estera, ma di fronte a un nutrito gruppo di giornalisti italiani. I corrispondenti dei quotidiani stranieri a Roma, com’è noto, si occupano delle sorti del Belpaese, mentre delle questioni comunitarie non ne sanno un granché – né, probabilmente, se ne interessano. Non basta: mentre solitamente le conferenza stampa dell’Unione Europea sono ritrasmesse in diretta sul canale satellitare e ora anche di streaming su internet con Europe by Satellite (EbS), questa volta no. Insomma, ai poveri corrispondenti da Bruxelles, quelli sì impegnati in questioni riguardanti l’Unione Europea, non solo non è stato concesso di poter porre domande a Tajani, ma neppure il piacere di sentirlo dal vivo.
L’Api ha già annunciato una protesta scritta, mentre la danese Pia Ahrenkilde, portavoce della Commissione, è stata subissata di domande inferocite durante il briefing di mezzogiorno al Palazzo Berlaymont, sede della Commissione Europea. Ahrenkilde, visibilmente imbarazzata, ha cercato di arrampicarsi sugli specchi, non proprio una delle qualità tipiche dei danesi, amanti di chiarezza e trasparenza . «Non preoccupatevi – ha provato a dire la portavoce – ci saranno altre occasioni per fare domande al vicepresidente». Una frase che si commenta da sé.
Che senso ha un’operazione del genere per illustrare alla stampa un dossier ritenuto da Bruxelles così centrale? Dal punto di vista della comunicazione la mossa non è certo geniale. Sarebbe come presentare un rapporto sull’editoria a una platea di giornalisti sportivi, o le nuove norme sul Gran Premio di Formula Uno a giornalisti che si occupano di cinema. Oltretutto, si potrebbe ironizzare, non è che il finlandese Olli Rehn, commissario agli Affari economici e finanziari, si mette a presentare il rapporto economico d’autunno a Helsinki il rumeno Ciolos la riforma della Pac a Bucarest. Né tantomeno il presidente José Manuel Barroso è andato nella sua Lisbona a presentare i suoi piani per salvare l’euro. In realtà, a voler esser maligni, viene il sospetto che a Tajani queste quisquilie interessassero poco o niente e che il suo unico cruccio fosse presentarsi in conferenza stampa a Roma con i giornalisti italiani. Non stupisce, visto il clima da pre-elezioni generali che regna nel Paese.
Se così fosse, ci sarebbe da chiedersi se sia legittimo prendere in ostaggio la politica europea, e il ruolo di commissario, per della “politichetta di cortile”. Non certo un aiuto all’immagine dell’Italia in Europa e tantomeno al suo peso a Bruxelles. Non ci fa, va detto, una gran bella figura neppure la stessa Commissione Europea. Nessuno, evidentemente, se l’è sentita di dire al vicepresidente che un dossier così importante andava presentato, come tutti gli altri, a Bruxelles o comunque in una delle tre sedi Ue (le altre due sono Strasburgo e Lussemburgo). L’ennesima riprova, se ancora ce ne fosse bisogno, della debolezza dell’esecutivo guidato da José Manuel Barroso.