Ecco come facebook entra nella tua vita e ti spia

Ecco come facebook entra nella tua vita e ti spia

Anche Facebook “spia” gli utenti sul web, registrandone i movimenti e le preferenze, proprio come fanno Google o Yahoo!. E a essere sorvegliati non sono solo i clienti registrati, quelli dotati di regolare username e password, ma chiunque, per un motivo o un altro, finisca su una pagina del più popolare social network del mondo. Dopo anni di insinuazioni e ambigue smentite, l’azienda di Palo Alto ha affidato al capo del suo dipartimento di ingegneria informatica, Arturo Bejar, il compito di spiegare per la prima volta nel dettaglio come funziona il sistema di tracciabilità. Dalla ricostruzione fatta in esclusiva per “Usa Today” emerge un quadro dettagliato e, per più di una ragione, allarmante.

La prima volta che un utente apre una pagina del dominio Facebook.com, il social network inserisce un “cookie” sul suo browser. In questo modo l’azienda fondata da Mark Zuckerberg registra ogni sua visita su siti web o blog che contengano il bottone “Mi piace” o quello “Condividi” di Facebook, prendendo nota di orario, data e indirizzo web, oltre che di indirizzo IP, risoluzione dello schermo, sistema operativo e browser. I dati vengono poi inclusi in un apposito “diario” che ricostruisce l’attività online dell’internauta negli ultimi 90 giorni.

Ancora più approfondito è il monitoraggio per gli 800 milioni di persone che, in tutto il mondo, hanno sottoscritto un account di fb. In questo caso al “bowser cookie” si aggiunge un “session cookie”, che accompagna l’utente nella navigazione anche dopo che questo ha effettuato il log out dal social network, consentendo di registrarne anche il nome, l’indirizzo e-mail, gli amici e ogni altro dato – compresi quelli sensibili – inserito sul proprio profilo.

Le nuove rivelazioni di Bejar ridaranno vigore alle polemiche di quanti ritengano Facebook un’autentica minaccia per la privacy. L’enorme mole di dati in suo possesso, compresi gusti commerciali, convinzioni religiose o preferenze politiche, fanno gola alle aziende che, già oggi, con le loro inserzioni personalizzate garantiscono al gruppo larga parte del fatturato. E gli stessi dati potrebbero essere di grande interesse per i governi intenzionati a raccogliere dati sensibili sui propri cittadini.

A maggio, in un’intervista a “Russia Today”, il fondatore di WikiLeaks Julian Assange ha definito Facebook “il più grande archivio di informazioni sulle persone, le loro relazioni, la loro posizione geografica” e “uno dei principali strumenti a disposizione dell’intelligence americana per spiare i cittadini”, precisando che “tutti quelli che aggiungono amici su Facebook dovrebbero sapere che mentre lo fanno, stanno lavorando gratis per i servizi segreti degli Stati Uniti”.

Solo un mese fa, invece, a sollevare il problema è stata la Germania, con il direttore dell’autorità per la protezione dei dati di Amburgo Johannes Caspar, che ha accusato Facebook di violazione della privacy, in particolar modo per il fatto di monitorare gli utenti anche dopo che questi avevano cancellato i propri account. E la policy di Facebook e di altri colossi della rete ha messo in allarme lo stesso Congresso di Washington, dove è stata presentata una proposta di legge per condizionare la tracciabilità degli internauti a una esplicita e preventiva autorizzazione.

L’azienda californiana, dal canto suo, fa sapere che i cookie servono solo a migliorare il servizio e a garantire la sicurezza. Il portavoce Andrew Noyes ha chiarito che non esiste l’intenzione di fare un uso diverso dei dati e che, anzi, la politica dell’azienda è in netto contrasto con quella di molti concorrenti che “deliberatamente e clandestinamente tracciano gli utenti con lo scopo di creare profili dei loro comportamenti e di venderli a terzi o di utilizzarli per inserzioni pubblicitarie mirate”. Ma, a fronte di tante smentire, forse vale di più quanto dichiarato in passato dal fondatore di Facebook, Mark Zuckerberg: “L’era della privacy in internet è finita. Se mai la riservatezza online è esistita, bene ora è passata”.
 

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