Diceva Winston Churchill che«gli italiani vanno alla guerra come alla partita e alla partita come alla guerra». Si potrebbe sintetizzare così la levata di scudi contro l’Eba, l’Autorità bancaria europea, che ha indicato per UniCredit e Monte dei Paschi di Siena esigenze di capitali freschi per 7,39 miliardi e 3,091 miliardi di euro, e la crociata per la sostenibilità del debito pubblico italiano. Ieri, a Porta a Porta, Giuseppe Mussari, presidente dell’Abi, l’associazione bancaria italiana, ha rassicurato i risparmiatori, affermando che il Paese «non è a rischio di restituire il suo debito, dobbiamo dirlo con estrema chiarezza». Secondo il capo della lobby bancaria,«chi, italiano, oggi porta non legalmente denaro all’estero, dovrebbe essere accusato di alto tradimento perché il Paese non è a rischio di restituire il suo debito».
Qualche giorno fa, Mussari aveva duramente criticato il regolatore comunitario: «Ci si fermi fin quando si è ancora in tempo: non si cura il malato uccidendo gli infermieri», ha detto qualche giorno fa a margine della Giornata mondiale del risparmio. E ha rincarato la dose: «Non è così che si affronta la crisi del debito sovrano, così se ne acuiscono le conseguenze», da un lato «eliminando dal mercato chi quel debito sovrano ha fino ad oggi acquistato» e dall’altro «riducendo inevitabilmente la possibilità delle banche di finanziare l’economia reale». Parole a cui ha fatto eco il numero uno delle fondazioni bancarie riunite nell’Acri, Giuseppe Guzzetti, secondo cui l’Eba ha favorito gli interessi francesi a dispetto di quelli italiani, riassumendo i sentimenti di operatori ed esperti in Piazza Affari. Resta il fatto, incontrovertibile, che l’Abi e la Banca d’Italia hanno clamorosamente fallito l’azione di lobby in sede europea: l’Eba ha fissato dei criteri sul calcolo dei requisiti patrimoniali che favoriscono smaccatamente le banche francesi, tedeschi e nordiche in generale.
Mussari è anche presidente del Monte dei Paschi, tra i primi cinque istituti di credito italiani e tra i più colpiti dallo tsunami di vendite in Borsa, che è costato in sei mesi ha comportato una perdita del 60% del valore del titolo. A differenza di UniCredit, tuttavia, Rocca Salimbeni ha un vantaggio: ha sottoscritto i Tremonti Bond, e proprio le obbligazioni che prendono il nome del ministro saranno l’àncora di salvezza per la più antica banca italiana, annullando le necessità di capitale legate al rischio sovrano. Il motivo è paradossale: gli 1,9 miliardi pagano un interesse dell’8,5%, più sostenibile rispetto al costo di reperire capitale sul mercato, perché è minore del premio pagato dalla banca rispetto a un investimento privo di rischio, come venivano convenzionalmente considerati i titoli di Stato. Che però, nel caso italiano, un rischio ce l’hanno eccome, dato che il Btp decennale rende oltre il 6% (per l’esattezza il 6,32% alle 10.44 sugli schermi Bloomberg). Corsi e ricorsi della storia: rifiutati sdegnosamente da Piazza Cordusio e Ca de’ Sass nel 2009, oggi i Tremonti bond sono improvvisamente diventati convenienti.
Dei 34 miliardi di bond sovrani nel portafoglio di Mps, al 30 giugno 2011, 23 miliardi sono titoli di debito italiani, di cui circa 21 iscritti nelle attività Available for sale (Afs). Un valore superiore al patrimonio netto del gruppo (17,24 miliardi). Le Afs, attività disponibili per la vendita, sono iscritte, come le attività Held to maturity (Htm) – cioè i titoli mantenuti fino alla scadenza – nel portafoglio di proprietà della banca (banking book), mentre nel trading book sono inseriti i titoli oggetto di negoziazione sui mercati. In base a una circolare diramata da Bankitalia nel maggio del 2010, è consentito iscrivere i bond nel banking book al valore di acquisto e non a quello di mercato, sterilizzandone le perdite sul conto economico. Le eventuali svalutazioni, o rivalutazioni date dal prezzo di mercato dei bond (mark to market), in altre parole, si fanno trimestralmente, e vengono iscritti in un’apposita riserva del patrimonio netto, senza impattare sul conto economico.
L’Eba, al contrario, ha imposto che le variazioni (in positivo o in negativo) del valore dei titoli di Stato debbano essere conteggiate ai fini del calcolo dei requisiti patrimoniali minimi (Tier 1 al 9%). Da qui l’obiezione di Mussari, secondo cui l’autorità guidata da Andrea Enria starebbe sbagliando nel prevedere «l’applicazione generalizzata del principio mark to market alle attività del banking book». Paradosso sul paradosso: i Tremonti bond, invece, sono conteggiati dall’Eba come capitale proprio (azioni), andando quindi ad incrementare il patrimonio di vigilanza Tier 1.
C’è un altro scollamento tra via Nazionale e Londra, dove ha sede dell’Eba, e riguarda tanto Mps quanto UniCredit: il calcolo degli strumenti ibridi emessi nel 2003 e nel 2008. La prima emissione, 318 milioni di euro rientrati in pancia alla Fondazione dopo la chiusura dell’aumento di capitale da 2,47 miliardi di euro, lo scorso giugno, può rientrare nel Tier 1. Per quella del 2008, 950 milioni di euro attualmente in mano a Jp Morgan, così come per i 3 miliardi di titoli “Cashes” emessi da Piazza Cordusio, le regole di Basilea III ne vietano il computo nel coefficiente di patrimonializzazione, a differenza di quanto deciso da Via Nazionale.
Reperire più di 800 milioni di euro, livello dell’attuale aumento di capitale della Bpm, fa meno paura rispetto a 3 miliardi, ma con i listini in altalena non è impresa semplice per un istituto che capitalizza 3,37 miliardi di euro, ma presenta (al primo semestre 2011) sofferenze nette a livello di gruppo per 6 miliardi e incagli (ritardi nel rimborso di un fido o di uno sconfinamento nel conto corrente) netti a quota 4 miliardi. La fondazione guidata da Gabriello Mancini, per mantenere il controllo su Rocca Salimbeni, si è indebitata per 600 milioni di euro, quindi pare difficile una partecipazione all’eventuale aumento di capitale. Intanto, continua l’incessante opera di finanziamento attraverso i risparmiatori, invogliati a sottoscrivere le obbligazioni di Rocca Salimbeni proprio mentre le imprese, al contrario, sono invogliate a non chiedere fidi sopra 50mila euro, secondo alcune testimonianze raccolte da Linkiesta. Giuseppe Mussari, che rappresenta le banche italiane, va alla guerra contro l’Eba, ma la partita la deve giocare prima di tutto in casa.