1980: quando il maestro di Tremonti e Visco inventò lo scontrino fiscale

1980: quando il maestro di Tremonti e Visco inventò lo scontrino fiscale

Come far pagare le tasse agli italiani era una questione che arrovellava il governo presieduto dal democristiano di lungo corso Francesco Cossiga, nel 1980. Il ministro delle Finanze, il socialista Franco Reviglio, aveva avuto un’idea: rendere noti i nomi dei contribuenti infedeli, una specie di gogna a mezzo stampa. Due dei suoi più stretti collaboratori si dividono su fronti nettamente opposti: Vincenzo Visco è favorevole, Giulio Tremonti del tutto contrario. Visco e Tremonti facevano parte dei cosiddetti “Reviglio Boys”, tutti destinati a un fulgido futuro: Domenico Siniscalco, Franco Bernabè, Alberto Meomartini. Siniscalco e Tremonti, un paio d’anni prima, avevano addirittura abitato assieme, a Roma, in un appartamento del Demanio.

È proprio dall’ambiente dei “Reviglio Boys” (che in ogni caso collaborano anche con altri due ministri socialisti delle Finanze: Rino Formica e Francesco Forte) che viene concepita una delle idee destinata a cambiare la storia delle tasse in Italia, lo scontrino fiscale. Il 19 gennaio 1983 i commercianti si mettono in gramaglie: il giorno prima la commissione Finanze e Tesoro del Senato ha approvato in via definitiva (unici contrari: i missini) l’obbligo di tenere nei negozi un registratore di cassa fiscale in grado di registrare tutte le operazioni. L’entrata in vigore della nuova normativa è graduale: l’obbligatorietà scatta dal 1° luglio (in teoria ci sarebbe tutto il tempo per prepararsi) e solo per i 75 mila tra grossi esercizi, supermercati e negozi di lusso che nel 1981 hanno dichiarato un volume d’affari superiore a 200 milioni di lire. Poi via via tutti gli altri, in modo che entro quattro anni ogni esercizio commerciale sia dotato di registratore fiscale (inutile dire che al 1° luglio 1983 solo l’1 per cento dei negozi che avrebbe dovuto utilizzarlo ce l’aveva davvero; siamo in Italia, no?)

La Stampa del 19 gennaio 1983 ha in prima pagina un articolo firmato da Stefano Lepri (futuro direttore dell’Ansa) intitolato: “Registratori di cassa, si comincia da luglio”: «Spesso le maggioranze governative si sono divise», scrive Lepri, «una dc in buona parte recalcitrante verso i registratori si è contrapposta alla sinistra che unita li sosteneva». La paternità dello scontrino, come detto, è tutta socialista. In quel gennaio di 28 anni fa il ministro delle Finanze è Francesco Forte. Il suo ex collega e compagno di partito, Franco Reviglio, commenta: «Il registratore di cassa è uno strumento importante perché risponde all’esigenza di riequilibrare i carichi sociali tra le fasce della società. Però può funzionare se il cittadino si convince che l’evasione è un problema della comunità, se si capisce che se tutti pagano le tasse, le tasse si riducono». Non sarebbe proprio andata così.

Articolo sull’introduzione dello scontrino fiscale (Archivio storico La Stampa, luglio 1983)
«In origine», scrive ancora Lepri in un box intitolato “L’occhio in più del fisco”, «il registratore di cassa fu inventato soprattutto nell’interesse dei proprietari, per impedire che il dipendente seduto alla cassa facesse il disonesto. Con la nuova legge si otterrà anche che il cassiere si faccia strumento di giustizia fiscale, evitando casi scandalosi come quelli finora frequenti di proprietari di esercizi commerciali che dichiarano di guadagnare meno dei loro dipendenti. Attraverso questo strumento si spera di ridurre la colossale evasione dell’Iva; secondo autorevoli esperti, il gettito che lo stato ricava da questa imposta ammonta meno della metà».

Il nuovo apparecchio non costa una bazzecola: da un milione e mezzo a cinque milioni di lire ed è solo in parte detraibile dalla dichiarazione dei redditi; il 40 per cento, con un tetto massimo di due milioni. Si scatenano un mare di polemiche perché molti sostengono che il provvedimento era stato preso per fare una favore all’Olivetti, che i registratori di cassa vendeva. «Attualmente il mercato è controllato per circa un quarto dall’Olivetti, per una piccola frazione da altri produttori nazionali e per tutto il resto da aziende straniere», afferma Lepri.

Era chiaro che i produttori non avrebbero potuto star dietro a una richiesta divenuta all’improvviso così imponente e quindi, anche per venire incontro ai commercianti che avevano magari comprato da poco un nuovo registratore non fiscale, si era stabilito che si poteva continuare a usare il vecchio apparecchio, purché lo si dotasse di rotolini di carta omologati, ovvero con il numero di matricola sovrastampato. “Pezo el tacòn del buzo”, come si dice in Veneto: in tutta Italia le tipografie autorizzate a stampare questo nuovo tipo di scontrini sono soltanto tredici e, a luglio, i tempi di consegna si aggireranno dai 30 ai 40 giorni. Inoltre, mentre i vecchi rotolini costano da 200 a 500 lire l’uno, quelli nuovi hanno un prezzo che varia dalle 2 alle 3 mila lire. «Un anno di utilizzo costa come un registratore di cassa nuovo», sentenzia l’Associazione dei commercianti di Torino nella Stampa del 9 luglio.

Come sempre in Italia, per i trasgressori sono previste pene draconiane: chi non dà lo scontrino fiscale sarà punito con una multa da 200 a 900 mila lire, a cui si somma la sospensione della licenza da 15 a 60 giorni; per chi manomette lo strumento sono addirittura previsti da sei mesi a tre anni di reclusione (quindi senza condizionale). Non si ha memoria di commercianti finiti dietro le sbarre per aver manomesso un registratore di cassa. Assieme all’obbligatorietà dello scontrino, entra in vigore l’obbligo di emettere ricevuta per 17 categorie artigianali, tra le quali barbieri e tintorie. La Stampa del 1° luglio riferisce del barbiere che aumenta il taglio da 9500 10.000 lire, e della tintoria sulla cui vetrina compare il cartello: «Ritirate entro giovedì. Da venerdì devo farvi la ricevuta fiscale». Il giorno successivo il medesimo quotidiano scrive: «Sono meno dell’1% i commercianti che ieri hanno rilasciato lo scontrino fiscale. La percentuale di quelli che si sono messi in regola con la legge è invece decisamente superiore e, secondo i dati raccolti presso le associazioni commercianti delle maggiori città italiane, supera il 90 per cento». Mentre il 9 luglio, ovvero a una settimana dall’entrata in vigore della nuova normativa, afferma: «Tra i commercianti serpeggia malumore». Ma no!

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