Non è questa la sede né l’argomento adatti a un elogio della lentezza. Qui appena rallenti ti danno dello sfigato. Non è carino. Se poi butti un occhio alla lista dei soci de Linkiesta, c’è il caso che vai anche in confusione: tutta gente variamente affermata che si sarà laureata tra i 17 e i 19 anni. Ampiamente in media Martone. Piuttosto, ci sarebbe da rivoltare l’assunto e chiedersi se davvero basta laurearsi in tempo utile (o anche prima) per non essere considerato uno sfigato. Perché sfigato ha una sua precisa connotazione, che il dizionario racchiude sapientemente nel «privo di fascino» o nel «privo di attrattive»: quindi anche tagliato fuori da qualunque love affair con le ragazze?
La faccenda è seria, come dice il direttore Tondelli, ma era già seria ai tempi dell’uva, dunque niente di così nuovo. Martone, che è giovinetto e (dicono) talentuoso, avrebbe potuto usare una parola più antica e definitiva come «falliti» e non avrebbe – forse – prodotto medesimo scandalo. Perché sono le parole, è il lessico, a determinare le oscillazioni della nostra sensibilità e che fanno sobbalzare le categorie proprio in riferimento ai loro linguaggi più abituali. A una persona più matura, l’espressione del vice-ministro non farà poi né caldo né freddo, ai giovani invece girano ampiamente gli zebedei. Lo sfigato è roba loro.
Si dice anche che in questa piccola querelle non ci sarebbe alcun riferimento all’eventuale successo nella vita e così il nostro giovane politico s’arrampica a dimostrare che se entri, sedicenne, all’istituto tecnico saresti uno fichissimo, insomma già un ometto di successo. Peccato che questo sia proprio il meccanismo retorico per identificare gli sfigati sin da piccini, in modo che non si facciano poi del male da grandi. Insomma, una sorta di selezione naturale degli sfigati.
Più semplicemente, c’è da pensare che ogni scelta porta con sé una storia, anzi tante storie, e che l’elemento scolastico non è soltanto il prodotto di ciò che sappiamo o di ciò che ignoriamo, ma esattamente un insieme di sensibilità che compongono il tuo percorso. C’è una frase, classica, che ricorre spessissimo nell’amarezza di uno sguardo sul passato: se potessi tornare indietro, mi sarei laureato molto prima, o anche: non avrei interrotto gli studi. Sono momenti di consapevolezza. Da sfigati?
Il simpatico Martone ha comunque il pregio della semplificazione – bianco è bianco, nero è nero – e ha voluto assestare il suo colpo di frusta di fronte a un’assemblea di studenti. Bello sarebbe stato anche sentirgli usare quel filo di ironia che accompagna spesso persone straordinarie (una l’abbiamo persa proprio adesso, ma cosa avrebbe detto Fruttero di Martone?) e che poteva consigliargli di condire il suo non-elogio dello sfigato con un raccontino acconcio che riguarda proprio lui, il vice-ministro, colpito da un contrappasso di una crudeltà senza pari. E che porterebbe qualche malizioso interprete della piccola storia politica a considerarlo anche un po’ sfigato.
Succede che il nostro protagonista sia tenuto nel frigo proprio dal suo ministro, la terribile Elsa, che gli allunga una carta a settimana giusto perché il talentino debba soffrire la pena che merita, stillicidio atroce per un uomo di così tal fatta, e che il giovane vice se ne lamenti assai, ma solo a mezza bocca, invece che presentarsi sulla pubblica piazza a petto in fuori e mostrare di che cosa è capace un primo della classe che non accetta compromessi. Invece butta giù, amaro dopo amaro, sfiga dopo sfiga, perché – e qui casca tutto – al nostro Michel interessa più il potere che la naturale evoluzione dei rapporti umani.
Si è detto che lo sfigato di oggi è l’evoluzione naturale dei bamboccioni di un tempo neanche poi troppo lontano. Vero. L’unica differenza la fa il tono: allora ironia e leggerezza, qui quel tanto di ercolino sempre in piedi che ti fa anche un po’ ridere.