Davanti alla richiesta di un commento c’è chi guarda stupito, chi allarga le braccia. I più disponibili abbozzano una risposta di cortesia. Qualcuno quasi si lamenta: “Ancora con questa storia?”. Il sottosegretario alla presidenza del Consiglio Carlo Malinconico si è dimesso da poche ore per un conto in albergo pagato da altri “a sua insaputa”. Ma a Montecitorio la notizia non appassiona nessuno. Nel primo giorno di lavori dopo la pausa natalizia i deputati tornano – a dirla tutta non in grandissimo numero – sui banchi della Camera. Il passo indietro dell’esponente di governo? Una questione secondaria. Anzi, per dirla con le parole di molti, “un atto dovuto”.
E se Monti apprezza “il senso di responsabilità” del sottosegretario – che paga per la vicenda delle presunte vacanze all’Argentario a spese del costruttore Francesco De Vito Piscicelli – lo stesso non si può dire dei parlamentari. A Montecitorio si parla d’altro. La notizia del giorno è il caso Nicola Cosentino: nelle stesse ore in cui esplode la prima vera grana del governo tecnico, la giunta delle autorizzazioni vota l’arresto del coordinatore campano del Pdl. Nei capannelli di Palazzo l’argomento principale è questo. Poche le varianti nelle chiacchierate parlamentari: qualcuno tira fuori le liberalizzazioni, il vertice del Pdl convocato da Silvio Berlusconi per questa sera. C’è chi si spinge oltre e relaziona ai colleghi sulle vacanze appena trascorse. Le dimissioni di Malinconico, no. Non coinvolgono. Perché un passo indietro così repentino di un esponente di governo sarà pure una novità nel panorama politico italiano, ma a Montecitorio la squadra di Mario Monti è ancora considerata un ingombrante intruso. Insomma, stamattina l’esecutivo ha incassato un’altra vittoria mediatica. E da domani i suoi detrattori – e alla Camera è pieno – avranno un motivo in meno per criticarlo.
E così gli attestati di stima nei confronti di Malinconico si contano sulle dita di una mano. Nei minuti successivi alle dimissioni si affrettano a solidarizzare in pochi. C’è il presidente Udc Lorenzo Cesa, i deputati di Pdl e Pd Mario Baccini e Paolo Gentiloni. Dopo qualche ora arrivano le dichiarazioni di Pierluigi Bersani e Gianni Alemanno. Per il resto silenzio. “Si è dimesso, e allora? – la pidiellina Barbara Mannucci ironizza alla buvette – D’altronde questo era il governo del rigore, no?”. E di atto dovuto, semmai giunto “in ritardo” parla anche il leader Idv Antonio Di Pietro.
Qualcuno tira fuori la storia di Claudio Scajola, il ministro berlusconiano che nel maggio 2010 si dimise per la nota vicenda dell’appartamento vicino al Colosseo pagato in parte dall’imprenditore Diego Anemone. Un passo indietro, anche nel suo caso, senza essere indagato. “Ma quando queste cose le facevano i nostri nessuno diceva niente – racconta il deputato Sergio Pizzolante in cortile – Adesso invece è tutto più sobrio e responsabile”. Molti preferiscono non commentare. È il caso dei leghisti, quasi costretti a un silenzio stampa dopo le polemiche di questi giorni (dai rimborsi elettorali investiti in Africa alle lotte di successione interne). Qualcuno se la cava con un attacco a Monti. “Ma chi ha scelto Malinconico? Adesso non dicano che il premier non sapeva” è il commento più frequente. Enrico Costa, uno dei responsabili giustizia del Pdl, ammette di non aver seguito troppo da vicino la vicenda. “Mi sembra solo una questione di immagine – spiega – Il governo si è voluto mettere al riparo da critiche”.
E c’è chi solleva un problema di natura tecnica. Dopo le dimissioni del sottosegretario con delega all’Editoria Malinconico, chi prenderà il suo posto? Data la crisi del settore – proprio in questi giorni rischiano di chiudere diverse testate – diventa fondamentale trovare un sostituto in tempi rapidi. Un nuovo sottosegretario in grado di gestire il dossier senza lungaggini. Dalle parti della commissione cultura si fa sempre più concreta un’ipotesi. A prendere la delega potrebbe essere il presidente del Consiglio Mario Monti. L’ennesima delega, dopo l’interim all’Economia.