La protesta contro SOPA e PIPA, non ultimo lo sciopero del 18 gennaio, ha ottenuto oggi il suo risultato più importante. Il voto su entrambe le proposte di legge USA- formalmente miranti a proteggere il diritto d’autore, di fatto liberticide secondo esperti e big di Silicon Valley – è stato infatti rimandato a data da destinarsi.
Primo risultato: il principale proponente di SOPA, Lamar Smith, dopo aver annunciato di voler proseguire l’esame del testo a febbraio solamente il giorno precedente al blackout della rete, ha fatto retromarcia. I sostenitori della legge dovranno «attendere fino a quando non sarà raggiunto un più ampio consenso sulla soluzione», ha affermato Smith, a quanto riporta Politico.com. Questa volta, tuttavia, nessuna data.
Secondo: anche PIPA, per cui era in programma un voto il 24 gennaio, ha registrato una netta battuta d’arresto. «Alla luce degli eventi recenti», ha scritto il leader della maggioranza al Senato, Harry Reid, è stato «posticipato». Certo, la pirateria va combattuta, ha affermato Reid, ma il resto del comunicato non va oltre un laconico «sono fiducioso che sia possibile raggiungere un accordo nelle prossime settimane». Anche in questo caso, dunque, nessuna data. Per ora, insomma, meglio non rischiare una sonora bocciatura. O scatenare un’ulteriore protesta.
I meriti del blackout sono evidenti, dato che è stato proprio lo sciopero del web dello scorso 18 gennaio ad aver fatto cambiare idea a diversi deputati e senatori fino ad allora favorevoli a SOPA e PIPA. Lo riconosce anche il repubblicano e membro del Congresso Darrell Issa: «merito» dei «sostenitori di Internet» se la minaccia è, per ora, sventata. Ma è meglio non cantare vittoria: «RImandare il voto al Senato su PIPA rimuove la minaccia imminente alla rete, ma non è ancora finita». Dopo la chiusura di Megaupload, e la poderosa reazione di Anonymous, difficile dargli torto.
E di certo non è finita in Italia, dove – come segnalano il giurista Guido Scorza e il think tank finiano Libertiamo – SOPA si ripresenta in una delle sue infinite varianti nazionali sotto le spoglie di un emendamento del deputato leghista Gianni Fava alla legge comunitaria. Il tentativo è sempre lo stesso: responsabilizzare i provider, costringendoli ad assumere un atteggiamento più aggressivo nei confronti dei contenuti pubblicati dai propri utenti. Poco importa se ciò significa conferire a qualunque detentore di diritti d’autore il potere di chiedere e ottenere la rimozione di file anche solo ritenuti illeciti senza la possibilità di un vero contraddittorio davanti alla giustizia. L’emendamento ha ricevuto il via libero della Commissione sulle politiche comunitarie, e già lunedì sarà in Aula a Montecitorio. Inutile attendersi l’opposizione del ministro Enzo Moavero Milanesi: anche il suo parere è stato favorevole, pur se con la precisazione – ha notato Scorza – che il tema «avrebbe meritato di essere affrontato in uno specifico provvedimento».
Il copyright anche a costo della censura, dunque? E’ avvenuto in Francia e in Spagna (su pressione – non a caso – del governo USA, come rivelato da El Pais). Ora il rischio è che accada anche in Italia, dove già con la delibera Agcom l’industria dell’intrattenimento aveva provato a disegnarsi una legislazione su misura per i propri interessi. Eppure «imporre ai prestatore di servizi online di rimuovere o disabilitare l’accesso a informazioni segnalate da ‘qualunque soggetto interessato’», afferma Piercamillo Falasca, vicepresidente del think tank che fa capo al finiano Benedetto Della Vedova, «rischia di risultare nella rimozione di informazioni lecite, con conseguenze gravi per lo sviluppo in Italia dell’economia digitale e per lo stesso principio di liberta’ di espressione». Per l’ennesima volta, la rete come minaccia, più che come opportunità.