Atti di nonnismo a Palazzo Chigi? Tra sorrisi e ironie, la curiosa vicenda sta facendo il giro delle aule parlamentari. Vittima del diffuso malcostume – di solito nelle caserme – sarebbe il giovane viceministro Michel Martone, il fiore all’occhiello del governo tecnico. Trentasette anni, già professore universitario di diritto del lavoro in diversi atenei italiani, Monti lo ha voluto nella sua squadra per occuparsi della difficile riforma del settore. Peccato che il presidente del Consiglio lo abbia affiancato a Elsa Fornero.
È il dramma silenzioso dell’esecutivo. Stando a quanto si vocifera anche nei corridoi del ministero di via Veneto, Elsa Fornero avrebbe messo all’angolo il suo secondo. Negli accordi pre incarico le funzioni del dicastero erano state divise in parti uguali: al ministro il dossier sulla previdenza, al viceministro quello sul lavoro. Eppure dopo aver gestito la difficile trattativa sulle pensioni, sembra che la Fornero non voglia farsi da parte. La riforma le ha regalato una grande notorietà, non è un mistero. Le sue lacrime durante la prima conferenza stampa di Monti sono diventate un simbolo. Il volto umano del governo di tecnici. E così alla Camera i maligni raccontano che dopo aver scoperto il suo successo mediatico, Elsa Fornero ne sia diventata vittima. «Si è trasformata in un’iperpresenzialista, non può fare a meno di intervenire sui giornali e in tv. Ora un ruolo da comprimario non le va più bene».
Da qui la lunga polemica con Martone per l’assegnazione delle materie di sua competenza. Al ministero confermano che nelle scorse settimane Elsa Fornero abbia puntato i piedi più volte. Con l’obiettivo di ridimensionare il ruolo del suo vice. Tanto da costringere il Consiglio dei ministri ad approvare – lo scorso 23 dicembre – una misteriosa delega alle “funzioni particolari”. Proprio così. Dopo un lungo braccio di ferro ieri, finalmente, un po’ di chiarezza. La Gazzetta Ufficiale pubblica le deleghe del nuovo viceministro. C’è l’occupazione giovanile, le relazioni industriali, le politiche del lavoro. “Ma a guardare bene – sottolineano dal ministero – i paletti imposti dal ministro restano consistenti”. In poche parole la libertà di azione lasciata a Martone rimane limitata.
Le conseguenze sono sotto gli occhi di tutti: Martone non parla, non si vede. È uno dei più preparati esperti nel suo settore, avrebbe dovuto essere il protagonista della riforma del Lavoro, ma è diventato un fantasma. «È in silenzio stampa permanente», raccontano sarcastici al ministero. Lui non fa polemiche, non si lamenta. Anzi, nel segreto dei suoi uffici continua a lavorare come un matto. Chi lo conosce bene racconta che dopo un mese e mezzo al governo sia già visibilmente dimagrito. «Colpa dello stress». Peccato che a saperlo siano in pochi.
Che tra Martone ed Elsa Fornero non corra buon sangue lo confermano i deputati della commissione Lavoro di Montecitorio. Il 6 e il 13 dicembre scorso i due esponenti del governo sono stati chiamati alla Camera per presentare le linee programmatiche del loro ministero. «Nell’arco di due lunghe sedute Martone non è riuscito a prendere la parola nemmeno una volta» racconta sconcertato uno dei presenti. C’è chi parla di una scena imbarazzante. «Il presidente della commissione Silvano Moffa – racconta un altro – continuava a chiamarlo sottosegretario. Quando gli abbiamo fatto notare che sul sito del governo Martone risultava essere già viceministro, è intervenuta la Fornero». Che con un’occhiataccia – sempre stando a quanto raccontano diversi presenti – avrebbe gelato il suo vice: «Al momento non ha ancora ricevuto le deleghe». Pertanto deve essere considerato ancora un sottosegretario.
Educato, il diretto interessato ha ascoltato in silenzio. Rosso in viso per la vergogna, dice qualcuno. Più intimorito secondo altri. «Il 13 dicembre è tornato in commissione e con timidezza ci ha spiegato: “Sono viceministro, ho chiesto conferma ai tecnici dei miei uffici”», ride un altro deputato. Ma quello che ha «impressionato» i deputati della commissione Lavoro è stato l’atteggiamento della Fornero. «Dopo tutta l’attenzione mediatica che ha ottenuto si comporta da star». Raccontano una scena dell’incontro. Quando il ministro ha preso la parola per la prima volta, si è alzata in piedi. A quel punto il presidente Moffa le avrebbe fatto cortesemente notare che durante le riunioni delle commissioni – per tradizione – gli oratori intervengono seduti. «È un luogo di confronto, non un palco per comizi politici» spiega il deputato. Ebbene il ministro si sarebbe rifiutata di mettersi a sedere. «Mi dispiace, ma io sono abituata a parlare in piedi». E così avrebbe fatto, tra gli sguardi stupiti dei parlamentari.