Monti ora rompa il legame tra banche e politica

Monti ora rompa il legame tra banche e politica

Il principale, e più sorprendente, successo del governo Monti fino ad ora, è stato quello di riuscire a far approvare in Parlamento due misure strutturali “drastiche” come la riforma delle pensioni e la nuova imposta sulla prima casa, senza in pratica incorrere in alcuna significativa opposizione, né da parte dei sindacati né da parte delle forze politiche (con l’eccezione della Lega). Un ruolo decisivo ha giocato il fatto che i sacrifici siano ripartiti in modo “universale”, che non vi fosse cioè, come in passato, accanimento su categorie particolari (i dipendenti pubblici, i commercianti) “garantite” da questo o quello schieramento politico. Per questa ragione anche le cosiddette riforme strutturali avranno esito positivo solo se seguiranno la stessa strada: è l’idea del “disarmo multilaterale” evocata dal presidente del Consiglio.

Effetti delle riforme pro-concorrenza

Ciò premesso, è utile chiedersi quali siano le riforme strutturali – autostrade, servizi pubblici locali (trasporti, elettricità, gas, acqua), banche, assicurazioni, commercio, ordini professionali – che possono maggiormente stimolare la crescita economica, e dunque sulle quali si dovrebbe concentrare l’attenzione di governo e Parlamento. La questione è tutt’altro che semplice.
Intanto non è detto che la dimensione del settore, in termini ad esempio di volume d’affari o di occupati, rappresenti necessariamente un buon indicatore dell’efficacia delle misure. Un settore potrebbe essere sottodimensionato (le farmacie) proprio perché le barriere alla concorrenza ne limitano l’accesso garantendo rendite di posizione agli insider. Inoltre le riforme pro-concorrenza adottate in un settore spesso sortiscono effetti a catena che si ripercuotono anche su altri mercati. L’esperienza delle liberalizzazioni adottate nei paesi Ocse negli ultimi venti anni suggerisce che le riforme nel mercato dei beni e dei servizi contribuiscono ad accrescere l’occupazione, non solo facilitando l’ingresso di nuove imprese, ma anche attenuando gli effetti distorsivi delle rigidità nel mercato del lavoro e rendendo più probabili successive riforme anche in tale mercato. Inoltre queste riforme producono effetti positivi sia sulla crescita della produttività del settore liberalizzato sia, “a cascata”, su quella dei settori collegati, per esempio quelli di cui sono fornitori (si pensi all’energia che costituisce un importante input in molteplici settori produttivi).

Quali settori?

Una recente ricerca di economisti del Fondo monetario internazionale ha preso in considerazione gli effetti delle riforme strutturali effettuate negli ultimi trent’anni in novanta paesi sulla crescita del reddito pro-capite. Il lavoro esamina le riforme pro-concorrenza in vari settori: commercio internazionale, elettricità e telecomunicazioni, agricoltura, transazioni finanziarie con l’estero, settore bancario, mercati azionari e obbligazionari. Il principale risultato è che paesi a diverso grado di sviluppo beneficiano in modo diverso dalle liberalizzazioni nei vari settori. Nei paesi a livello medio-basso di sviluppo (economico e delle istituzioni politiche), i maggiori effetti sulla crescita provengono dalle misure di liberalizzazione adottate in agricoltura, nelle transazioni legate al commercio internazionale, dalle misure volte a rimuovere i vincoli amministrativi sul credito bancario. La crescita nei paesi più sviluppati, invece, oltre che dalla rimozione dei vincoli finanziari connessi al commercio internazionale, è aiutata soprattutto dalle misure che favoriscono lo sviluppo del mercato azionario e obbligazionario, come la qualità della supervisione e regolazione dei mercati, e l’accesso dei capitali stranieri.

Una road map

Ecco dunque una semplice road map per il governo: bene le riforme in cantiere su oneri amministrativi per le imprese, sconti, tutela dei consumatori, ordini professionali, farmacie, taxi, servizi pubblici locali, poste e trasporti. E anzi, proprio perchè sono riforme preziose, sarebbe bene che il governo Monti non arretrasse su nessuno di questi fronti, come invece a tratti sembra pronto a fare in questa complessa trattativa sulle liberalizzazioni. Sarebbe bene, ad esempio, che non si esitasse sulla via che porta a separare la rete ferroviaria dall’azienda statale che fa viaggiare i Treni. Tuttavia, la chiave per far ripartire il paese verosimilmente passa per un mercato dei capitali in grado di promuovere lo sviluppo delle imprese. Dunque, nel sistema bancario, si deve porre fine all’abbraccio mortale tra fondazioni bancarie e banche, il maggiore ostacolo alla contendibilità di quest’ultime e cavallo di troia per le ingerenze della politica; si devono superare i “salotti buoni” della finanza con maggiore rigore contro le partecipazioni incrociate, sia quelle tra banche, che le portano a colludere, e quelle tra banche e grandi imprese (debitrici), che dirottano il credito dalle piccole alle grandi imprese. Si deve porre fine, in sede europea, alla segmentazione normativa del mercato assicurativo che ne limita fortemente la concorrenza.   

*docente di Macroeconomia e politica economica all’Università di Bologna, OCSE, FMI e Banca Mondiale, articolo pubblicato in inglese sul blog di Paolo Manasse

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