Rauf Denktash
(27 gennaio 1924 – 13 gennaio 2012)
«Il turco» di Cipro, cioè il presidente della parte orientale dell’isola, eletto a ripetizione per quattro volte, fino al 2004. Una sovranità particolare in tutti i suoi particolari: si parla di un terzo d’Europa mediterranea che non fa parte dell’Unione, attaccato a uno Stato – la repubblica greca di Cipro – che ne è invece partner riconosciuto, con l’euro come moneta. Si potrà parlare di un cantone, o di un’anticamera turca dentro l’Europa, se la Storia di quelle parti, greche e turche, diventerà più saggia. Rauf Denktash di primo acchito non lo era, ma credeva di esserlo. E forniva una sua spiegazione: «Siamo piccole candele in un mare greco. Non ho avuto scelta a dire sempre di no». Il no era alla riunificazione federale dell’isola. Ciononostante, negli ultimi anni, era andato a farsi curare un diabete acuto a Nicosia – la capitale, greca, dello Stato – e lì, molto ben curato al North East Hospital, è morto di un attacco cardiaco. Aveva quasi 88 anni.
Cipro resta, all’antica, un caso “levantino” adattato ai tempi moderni. Quasi un insieme di sindromi europee di cui gli europei discutono, rimandando, ogni tanto, il controllo della febbre. Uno Stato cantonale, o una federazione mancata, in nome di due piccole patrie. In pratica, una secessione invecchiata, e stabilmente blindata da 35 mila soldati turchi di stanza nell’est dell’isola. Un pezzo turco e musulmano d’Europa, riconosciuto da un solo Stato al mondo – la Turchia – con l’Unione europea refrattaria, probabilmente senza rimedio, all’ingresso di Ankara a Bruxelles. In nome, o per paura, di un’invasione musulmana (soprattutto di forza lavoro).
Un’isola, strategica (siamo dirimpetto alla Siria, a Israele, a Hezbollah, al Medio Oriente), piantonata da quasi quarant’anni dai caschi blu dell’Onu, perché greci e turchi si sono già abbastanza massacrati. Una postazione militare e occidentale, con tanto di base inglese attrezzata, in località Akrotiri. Un posto di affari e società – tipo porto franco alla mediterranea – utile anche ai liberi pensatori della zona: da Israele, e da sempre, le coppie che non vogliono saperne di nozze religiose, vanno a sposarsi a Cipro.
Rauf Denktash è stato uno dei ritratti consoni al quadro di quell’isola. Un bravissimo avvocato – figlio di un alto magistrato, già procuratore della Corona, al tempo della colonia inglese – ma anche il capo nazionalista del 20 per cento della minoranza turca. Un leader, non truce, dagli anni Cinquanta, ma inamovibile ad ogni tappa di quella storia.
Rifiutava di partecipare al governo di Cipro indipendente negli anni Sessanta (era il Paese del saggio arcivescovo Makarios, odiato dai nazionalisti greco-ciprioti che volevano l’unione con Atene), e metteva in piedi un viavai di negoziati poco convincenti per assicurare ai suoi un massimo di autonomia separata: una specie di soluzione catalana ante litteram, ma primitiva, e soprattutto disastrata dai massacri inter-etnici – dove i greci, più forti, hanno mostrato il peggio – a ridosso dell’intervento turco nel 1974.
Con la sicurezza di quei soldati-fratelli, Rauf poteva proclamare l’indipendenza nel 1983, e i suoi “no” dei vent’anni successivi sarebbero risultati sempre più sorprendenti. La sua controparte – il successore di Makarios, Glafkos Clerides – era un suo vecchio compagno di studi all’English School di Nicosia: erano amici, avevano il sorriso facile, una grassezza quasi gemellare, e si scambiavano lettere invase da tanti “Dear”.
Nel 2003, Kofi Annan era le “Nazioni Unite”, e li riuniva in un negoziato per far sortire, finalmente, lo Stato federale. In una foto, l’elegantissimo segretario ghanese, fa da pronubo, in mezzo, ai due massicci, e sorridenti, mediterranei. Clerides mostrava disponibilità, ma Rauf, ancora una volta si negava all’unione decentrata, sottolineando la differenza di status (economico) fra le due zone, prospettando altri scontri sanguinosi, e soprattutto rifiutando di sottoporre a referendum, fra i suoi, il piano Onu.
In realtà, si fidava esclusivamente – ed “etnicamente” – della protezione militare turca. E ad Ankara andava bene così: Cipro turca, e occupata, era un’eventuale banconota di scambio con l’Unione europea. L’ultima sorpresa di quel quadro cipriota avrebbe coinciso con un rimescolamento di carte: il successore di Denktash, Mehmet Alì Talat, smentiva quella politica negativa, riuscendo a far votare i turchi, che risposero di sì. Allo Stato federale, e quindi all’ingresso in Europa. Ma dall’altra parte, i greci che dovevano rispondere a quella stessa doppia domanda, votavano no. Egoismo, e interessi, da “mezza Europa” dislocata nel Mediterraneo orientale. Oggi, con l’euro in crisi, anche lì.
Gevork Vartanian
(17 febbraio 1924 – 17 gennaio 2012)
Avrebbe compiuto, fra un mese, 88 anni. Senza lasciare memorie e, certamente, non parlando di quello che aveva fatto. Un silenzio naturale per uno dei più celebri ex agenti segreti sovietici. La sua morte, a Mosca, è stata annunciata dall’agenzia Ria Novosti. Che non è stata avara di elogi per un “eroe dell’Unione sovietica”, ma ha centellinato le informazioni sulle tappe di una carriera particolare. Dentro un mestiere comunque molto celebre.
Era armeno, e i suoi meriti nei “servizi” – o come spia – derivavano da un’arte di famiglia. E hanno spaziato anche nella modernissima funzione di vigilante. A livelli massimi. E’stato fortunato ad avere un padre giovane, e anche lui agente segreto, e ad iniziare a intuire i segreti di quella funzione dall’età di sei anni. Erano di Rostov sul Don, e venivano dislocati in Iran nei primi anni Quaranta. Il Paese di Reza Shah – il padre di Reza Pahlevi – che flirtava con i tedeschi, e di cui gli inglesi si sarebbero vendicati spedendolo in esilio in Sud Africa.
Gevork è stato precoce: a 16 anni, a Teheran, dirigeva un gruppo di agenti qualificato a smascherare le spie naziste. Era anche versatile: sotto il nome di “Amir”, veniva incaricato di stare anche alle costole degli agenti inglesi. Perché, nei programmi dell’MI5 (il servizio segreto britannico), quegli agenti sarebbero stati poi sparpagliati nell’Unione Sovietica.
È stato evidentemente così bravo nelle due direzioni, da meritarsi anche la fiducia di Londra, una volta stabilito il fronte comune con Stalin, e contro Hitler. A soli 19 anni, sempre a Teheran, era uno dei primi responsabili della sicurezza di tre persone: Winston Churchill, Franklin Delano Roosevelt, e lo stesso Iosif Stalin.
Un ragazzo di Rostov, vigilante sui tre grandi riuniti in una delle conferenze da cui sarebbe uscito il nuovo quadro del mondo. Se Gevork ha lasciato per iscritto qualche “impressione personale”, lo si saprà probabilmente quando Vladimir Putin sarà molto anziano, o, si spera, tramontato. Quello che, in aggiunta, si sa di Vartanian, resta stringato, ma, in molti modi, può stimolare l’immaginazione dei cultori dello spionaggio ai tempi della Guerra Fredda: per trent’anni – quindi fino ai tempi di Leonid Ilic Breznev – «ha agito sotto copertura in importanti missioni nel mondo».
Ha smesso con la fine effettiva dell’Urss (cioè con l’ultimo tempo di Breznev invecchiato), ma è stato, di nuovo, molto fortunato: perché, in quel trentennio, ha lavorato sempre insieme alla moglie Goar. Anche lei, naturalmente, dei “servizi”.