Se si «usa» Schettino per dire che tutti saremmo come lui

Se si «usa» Schettino per dire che tutti saremmo come lui

Ho aspettato a farmi un’idea, ma l’ascolto (non la semplice traduzione cartacea) delle telefonate tra la Capitaneria di porto di Livorno e il comandante Schettino mette anche un po’ di ordine nel subbuglio umano che ci ha preso collettivamente. Quando il subbuglio umano scaturisce da comportamenti altrettanto umani, c’è un giocherello molto caro a un certo tipo di «intellettuali», la cui sempiterna conclusione è che una buona azione non potrà mai essere buona e basta, e altrettanto la cattiva. Perché c’è sempre qualcosa che sporcherà entrambe, ne sporcherà la bellezza del gesto, considerando anche la cattiva azione meritevole di una sua estrema fascinazione.

Uno dei massimi accademici sull’argomento è stato Giuliano Ferrara, che negli avvitamenti ha sempre trovato nuova linfa per rimettere in discussione ciò che, così a lume di naso, pareva persin troppo chiaro. Il direttore del Foglio ne ha fatto addirittura un modo di far politica e chissà se al servizio di qualcuno. Lui nega, e in fondo ne ha ben donde per l’intelligenza sopraffina con cui ha trattato sempre l’affascinante materia del rovesciamento della verità.

Adesso, il nostro Giuliano sta vivendo addirittura una sua fase etica, che gli ha permesso di irridere ai gesti sbavati di Umberto Bossi, opponendogli una inevitabile sobrietà governativa, e di ridere amaramente di quel buontempone (a sua insaputa) di Malinconico.

Riesce onestamente più difficile confrontarsi con tardi epigoni del medesimo Ferrara, soprattutto se tendono a strafare, imitando maldestramente il maestro e non essendone neppure buoni e disciplinati allievi. L’ultimo in ordine di tempo è Claudio Velardi, lobbista per professione e già editore del Riformista, al quale non è parso vero, come potete leggere in un nostro corsivo, di buttarsi a capofitto nei misteri umani, identificandosi con la storia tormentata del comandante della Costa Concordia, Francesco Schettino. Il quale – la cosa ormai è di pubblico dominio – ha lasciato nave e passeggeri al loro destino.

Perché – appunto – una cattiva azione non lo sia sino in fondo, Velardi ha pensato bene di coinvolgere l’indole nazionale: «Si può dire? Mi fa schifo la crocifissione mediatica di Schettino, è un nostro simile, la sua umanità infingarda è la nostra». L’operazione non è neanche tanto nuova, e mostra oramai anche i segni del tempo, a metà tra un garantismo spirituale che dovrebbe sempre e comunque «assolvere» i peccatori, e l’idea insopprimibile di sostenere una cazzata purchessia. Ma non è di questo che interessa.

A volerci ficcare dentro, nelle cose, sempre un po’ di etica o di disetica, si rischia di perdere il punto centrale delle vicende. E certamente, se la prendiamo da questo lato, la questione dell’infingardaggine di Schettino si presta a tutte le manipolazioni possibili. Peccato, però, che nel caso del comandante della Costa Concordia, l’etica non c’entri un bel nulla.

Così come l’onestà non è tensione morale verso il Bene, ma solo pura tecnicalità acquisita negli anni per via di educazione e storie personali (e per questo dunque molte buoni azioni non hanno nulla a che spartire con l’eroismo), così le cattive/cattivissime azioni non sono identificative dell’animo umano, ma semplice espressione di esperienze pregresse, quel bagaglio che ci portiamo appresso sin da piccoli e che poi ci identifica da grandi con le semplificazioni che sappiamo: buono, cattivo, onesto, disonesto, vile, coraggioso,etc, etc.

Insomma, il desolante tentativo di Velardi di buttarci tutti dentro – insomma tutti nella stessa merda morale – non è sorretto da strumenti umani, ma solo dal desiderio insopprimibile di costruirsi un piccolo angolo di celebrità a buon mercato.

In realtà, il comandante Schettino ha «solo» fatto male, molto male, il suo lavoro, un lavoro che nello specifico comporta proprio delle tecnicalità ineludibili, come quella – primaria – di assistere i passeggeri di una nave sino all’ultimo momento disponibile. La viltà, l’infingardaggine, che l’avrebbero portato ai gesti che sappiamo, dimostrano semmai che quello non era il suo mestiere, che non ne era adatto e chi lo ha valutato è stato precipitoso.

Dunque, l’equazione noi=Schettino non è nemmeno un’insensatezza.  

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