Dopo Germania e Inghilterra, anche gli Usa stringono la morsa sull’evasione fiscale in direzione Svizzera. Sebbene ancora non ci sia un accordo formale tra Berna e Washington, il fisco statunitense ha ottenuto decine di migliaia di file criptati di undici banche, tra cui Credit Suisse, Julius Baer, la banca cantonale di Basilea e la filiale svizzera di Hsbc. Dopo alcuni mesi di braccio di ferro le autorità elvetiche hanno ceduto, pur gelose della loro tradizionale legislazione che protegge il segreto bancario. Un portavoce del ministro delle Finanze ha detto all’agenzia Afp che si tratta di informazioni non sui clienti, ma sulle attività delle banche svizzere negli Usa.
Per un istituto in particolare, che il quotidiano Blick idenfica in Credit Suisse, «si prevede di consegnare 20mila pagine di dati cifrati», che comprendono scambi di mail e dati personali su clienti e dipendenti, ha confessato il portavoce. Secondo quanto riportano alcuni media locali, le autorità americane avevano fissato al 30 gennaio il termine ultimo per evadere la richiesta dei dati bancari in questione.
Il ministro delle Finanze, Eveline Widmer-Schlumpf, che soltanto qualche giorno fa a Davos aveva discusso del tema con il segretario al Tesoro Usa Tim Geithner, ha minimizzato quanto accaduto affermando alla televisione svizzera che parlerà soltanto quando «Avremo trovato una soluzione con gli Stati Uniti su tutte le banche in discussione». Tradotto: qualsiasi informazione sarà fornita agli 007 del fisco a stelle e strisce soltanto dopo la firma di un’intesa.
La normativa elvetica infatti prevede l’invio di dati bancari non criptati soltanto in casi individuali, in presenza di trattati sulla doppia imposizione già in essere e quando una persona accusata da uno Stato terzo si sia già resa responsabile di gravi violazioni della legge svizzera. Per Martin Naville, presidente della Camera di commercio svizzero-statunitense, l’invio dei file rappresenta un tentativo di apertura da parte di Berna: «Siamo in trattativa, non in guerra. E nelle trattative bisogna offrire qualcosa ogni volta», ha specificato, memore di quando, nel 2009, Ubs ha dovuto versare 780 milioni di dollari al fisco Usa fornendo una lista di 4mila 500 nomi.
Se Washington mostra i bicipiti, Roma è ancora latitante. Nonostante il cambio alla guida del dicastero di via XX Settembre, l’esecutivo guidato da Mario Monti, che regge ad interim il ministero del Tesoro, non ha ancora mostrato un significativo cambio di passo in questo ambito. A Che tempo che fa il premier era si era mostrato prudente, dicendo «stiamo guardando a questo argomento». E aveva anche aggiunto che «Germania e Gran Bretagna hanno fatto qualcosa che l’Ue non ha gradito: accordi bilaterali», rivendicando poi: «Sono stato il primo quando ero commissario europeo nel 1999. A nome della Commissione europea sono andato a Berna per avviare il primo duro negoziato con la Svizzera perché accettasse di applicare alcuni principi sulla direttiva della tassazione del risparmio e sono stati fatti passi avanti».
Gli accordi bilaterali sulle materie coperte dalla legislazione comunitaria, in teoria, sono vietati, e Bruxelles non ha ancora preso una posizione ufficiale sulle mosse di Berlino e Londra. Uno dei motivi che induce Monti alla calma, anche se i tempi dell’Ue e le esigenze di cassa del Tesoro sono incompatibili. Secondo le stime che circolano sul mercato, gli evasori fiscali avrebbero parcheggiato sulle Alpi circa 130 miliardi di euro, più della metà delle risorse che lo Stato italiano reperirà nel corso di quest’anno grazie all’ultima manovra di Tremonti e a quella di Monti, anche se altre stime come quella Ocse si spingono a quota 300 miliardi di euro. Come per l’economia sommersa, però, si tratta di numeri difficilmente verificabili che vanno perciò presi con le pinze. Esattamente un anno fa il Governo stimava l’efficacia dello scudo in complessivi 80 miliardi rientrati dai paradisi fiscali, di cui 60 provenienti dalla Svizzera. Con un’aliquota del 5%, tuttavia, l’impatto è stato di “soli” 5 miliardi di euro. Con una tassazione simile a quella applicata da Germania e Inghilterra la somma sarebbe salita fino a sfiorare i 20 miliardi di euro. Appunto il valore dell’ultima manovra.
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