«Ho tantissima fame. Sono stata sveglia tutta la notte a fare esercizi per le gambe e addominali e quando mi sono addormentata il mio stomaco ululava». «Dio mio, voglio essere sottopeso questo sabato!! Io sarò sottopeso questo sabato!!». «Premetto cmq che in questi giorni sto andando alla grande, sono positiva, mangio poco e mi sento bene. Grazie a voi e il vostro sostegno». «Ragazze come faccio ad iniziare senza il vostro aiuto????? Vi prego…». «Ho creato un blog per parlare di me e del mio obbiettivo, cioè dimagrire… spero ci sosterremo a vicenda perché io ne ho bisogno!».
Sostegno, sostantivo maschile. Sostenersi, voce verbale utilizzata in tutti i modi e tutti i tempi. Ecco cosa invocano le ragazze pro Ana e pro Mia sparse nelle stanze del web. Ana, anoressia. Mia, bulimia. Non mangiare praticamente nulla, oppure mangiare e poi infilarsi due dita in gola per riempire un water in attesa. Alla fine del 2008 l’Eurispes ha lanciato un allarme, conteggiando nel giro di pochi mesi circa quattrocento blog italiani appartenenti, appunto, a persone affette da disturbi alimentari. Quasi esclusivamente di sesso femminile, con un’età media di diciassette anni, ma anche più piccole.
La notizia è rimbalzata attraverso tutti i media, scatenando preoccupazione ma anche chiacchiericcio e curiosità. Allora le ragazze in questione, sentendo i riflettori puntati sul loro universo malato, folle e commuovente, sono corse ai ripari. O meglio, hanno creduto di farlo. Alcune si sono precipitate a rimuovere il proprio blog. Altre l’hanno privatizzato, cioè reso accessibile solo a una cerchia ristretta di amici. Altre ancora hanno smesso di aggiornarlo. Soprattutto, però, in questi tre anni e passa le vittime della “Dea Anorexia” si sono organizzate meglio.
Sbaglia di grosso chi pensa a un loro allontanamento dalla Rete. Anzi, internet è diventato sempre di più un irrinunciabile rifugio. Un luogo in cui trovare sostegno. I blog non sono scomparsi, solo meglio camuffati. Coperti da nomi fuorvianti. Nomi che spesso prendono in prestito vocaboli inglesi, così uno pensa che siano stranieri e dedicati chissà a cosa. Nomi che parlano di luci, sole, farfalle, voglia di vivere. Nomi romantici di donna, dal sapore un po’ retrò. Poi, se entri (magari per sbaglio), comincia il viaggio in un inferno. Un viaggio che adesso vede protagoniste non solo le adolescenti, ma anche giovani donne fra i 20 e i 25 anni.
Tante studentesse universitarie, che fra un esame e l’altro si lasciano ossessionare dal cibo e da un’idea distorta di perfezione fisica. Gli sfondi sono quasi sempre scuri oppure chiarissimi. Sulle pareti virtuali, immagini di due tipi: fotografie personali, mai intere ma con l’obiettivo puntato su singoli parti del corpo, che siano le costole sporgenti o la coscia con un diametro delineato dalle dita (indice contro indice, pollice contro pollice); e fotografie di modelle pelle e ossa, adorate e identificate come “thinspo”. Il termine è la fusione di thin (magro) e inspiration (motivo ispiratore), quindi la thinspo è l’esempio da consumare con gli occhi per non cedere dinanzi ai morsi della fame. Già, non cedere. Stay strong, tieni duro: ecco il motto che corre da un account all’altro, un mantra intriso di maledizione che spesso accompagna deliranti diari alimentari. Già, i diari alimentari. Quelli non mancano praticamente mai e servono a confrontarsi con le altre.
C’è chi, a colazione, prende «caffè macchiato (20), bustina di zucchero (20); per pranzo, insalata (iceberg scondita 24); primo pomeriggio, tè; a cena, mezzo hamburger di soia (88). Totale: 152 kcal assunte – 270 kcal consumate”. In tutta la giornata. Il conto delle calorie è quasi scientifico e punta sempre al ribasso. Poi ci sono i momenti, le ore in cui subentra la bulimia, l’abbuffata incontrollata. Allora le ragazze arrivano a ingurgitare anche 5000 calorie in un colpo solo e si confessano online, versando lacrime e premendo furiosamente sulla tastiera del pc. Pentendosi disperatamente, giurando di non farlo più e cercando nuova fermezza tramite i loro weight-loss blog preferiti. Cioè i blog motivanti, firmati da corpi sacrificati sull’altare del digiuno eppure irremovibili: «Una vocina mi risuona puntualmente mentre sto per mangiare qualcosa: “se mangi questa fetta di pane, giuro che ti farò ingrassare di tre schifosissimi chili!”. E allora la mia tentazione svanisce. Bam. Questo lo potrei definire autocontrollo. L’autocontrollo è tutto».
Keep calm and stop eating, mantieni la calma e non mangiare. E giù con i commenti d’ammirazione, quanto sei brava, anch’io ce la farò. Ci sono anche gli sprazzi di lucidità, in cui la malattia viene guardata in tutta la sua interezza, cruda come quella bistecca che si prende a morsi dietro costrizione di una madre e poi viene vomitata con la porta del bagno chiusa a chiave. Chiedono aiuto, urlano la loro esasperazione, vogliono liberarsi da una schiavitù fatta di piatti vuoti oppure troppo pieni, integratori, pillole lassative e sfiancanti sedute in palestra. È uno spiraglio, un primo passo verso la guarigione? No, perché la leva che solleva questo mondo privo di peso resta la stessa: dimagrire, dimagrire, dimagrire.
I blog pro Ana e pro Mia non sono scomparsi, ma meglio camuffati. E hanno trovato un pericoloso alleato nei social network. Sono sempre più numerosi, infatti, i profili di chi racconta questa vita terribile. C’è chi si fa chiamare come la Dea dell’amore e della bellezza, e non vuole mangiare. C’è chi mette in copertina la foto di una gustosa torta o di una bilancia con su scritto fat, grasso. C’è lei, giovanissima e già con un figlio, che comunica i suoi conteggi: «Allora.. 5/6 kg in 45 giorni è possibile con attività fisica giornaliera e 500/800 kcal».
C’è chi segue l’Abc diet, una media di 200 calorie al giorno, per pranzo «un brodo al dado senza pasta e per cena un uovo sodo». C’è il piccolo cigno che pubblica una nota personale: «Cambiare correttore e fondotinta in modo tale che la psicologa non capisca che hai vomitato 5 minuti prima di andare da lei». E per fortuna le amiche esprimono tristezza perché «hai ricominciato… :(». Sono tante, tantissime. Tante eppure sole. Molte hanno un amore non corrisposto, una vita sociale inesistente, si vergognano a uscire di casa e sottoporsi agli sguardi altrui. In Italia non esiste alcuna legge che impedisca di diffondere metodi per rifiutare cibo o inneggiare all’anoressia. Il precedente Governo ha messo in campo alcune azioni finalizzate a combattere i disturbi alimentari, come il numero verde 800.180.969; innegabile impegno è manifestato anche da numerosi enti locali e associazioni, prime fra tutte l’Aba.
Manca, però, un intervento strutturato per monitorare questi spazi virtuali, per raggiungere queste persone in difficoltà, afferrare i loro messaggi e costruire ponti verso la salvezza. Senza, però, allontanarle dalla Rete. Perché un altro rifiuto, un’altra tenebra improvvisa non riuscirebbero davvero a sopportarla.