La gravità della crisi finanziaria, che ha investito i debiti sovrani delle nazioni europee, è sotto gli occhi di tutti e, chi non l’avesse ancora sperimentata in prima persona, avrà modo di farlo ampiamente nei mesi a venire. In questo contesto, è assordante il silenzio che avvolge qualsiasi considerazione, non dico su un ridimensionamento della spesa pubblica, ma quanto meno sulla valutazione di sostenibilità dei livelli attualmente raggiunti e, in prospettiva, del trend osservabile su questa grandezza.
È mai possibile che, mentre il nostro debito pubblico è sotto processo, non sia in discussione se possiamo permetterci o meno di continuare a spendere ai livelli attuali?
Con ogni probabilità, il comandamento non scritto, «nessuno tocchi la spesa» è sostenuto da considerazioni di carattere congiunturale (tagliare la spesa in questa fase può aggravare la recessione) e ideologico: l’accusa di tentata «macelleria sociale» è sempre pronta in canna contro i temibili liberisti che vogliono «farci tornare al far west» o accomunarci agli Stati Uniti dove «notoriamente» lo stato lascia morire per strada chi non può permettersi di badare a se stesso.
E se invece fosse possibile ridimensionare la spesa pubblica senza conseguenze negative per i più deboli? Se addirittura si potesse conseguire una maggiore equità?
Questa apparente missione impossibile può essere compiuta agevolmente in due passaggi. Porre integralmente e direttamente a carico degli utilizzatori finali il costo di molte prestazioni attualmente fornite dalla pubblica amministrazione gratuitamente. Dotare i meno abbienti di voucher che gli consentano di ottenere immediatamente la prestazione, il cui costo verrà anticipato dallo stato e successivamente rimborsato in tutto o in parte dal titolare. Dove sta la fregatura? Non c’è, a patto che si tenga ben presente che, almeno inizialmente il costo gravante sul cittadino medio, non cambia.
Cosa ci guadagniamo allora? Diverse cose.
- Un miglioramento dei conti pubblici: una riduzione strutturale della spesa pubblica, rende più credibile la nostra promessa di rimborsare il nostro debito e ci consente di finanziarlo a condizioni migliori (riduzione del famigerato spread di cui tanto si parla).
- Maggiore Efficienza: se ognuno paga direttamente i servizi che riceve, sarà possibile mettere in concorrenza i diversi “fornitori” sia pubblici che privati (nei casi in cui esistono)
- Maggiore trasparenza: se ogni servizio ricevuto ha un costo palese è molto più agevole individuare e rettificare gli sprechi che tutti sappiamo esistere nella Pubblica Amministrazione
- Maggiore equità: anche i meno abbienti in virtù dei sussidi o dei prestiti forniti dallo stato potranno permettersi servizi (istruzione o cure mediche) di elevata qualità
A questo proposito va ricordata la proposta di Francesco Forti su noisefromamerika.org (uno dei pochi posti dove la sostenibilità della spesa pubblica non è un argomento tabu). Quali conclusioni potremmo dunque trarre?
I problemi non spariscono né si risolvono da soli se mettiamo la testa sotto la sabbia. La sostenibilità degli attuali livelli di spesa pubblica nel nostro paese è un problema serio, reso particolarmente urgente dalla combinazione di altri fattori quali la persistente scarsa crescita economica, la perdita di fiducia dei mercati internazionali nei confronti del nostro debito sovrano, la decrescente qualità dei servizi forniti dalla pubblica amministrazione, le ricadute negative sulla cultura del merito, peraltro già ampiamente deteriorata. Se non ci decidiamo ad affrontarlo (magari iniziando a parlarne) saremo in futuro obbligati a prendere dei provvedimenti d’urgenza che, a quel punto, finiranno con l’essere molto probabilmente iniqui e particolarmente gravosi per le fasce più deboli.
*portfolio manager a Jupiter Finance, società del gruppo Cir. Questo è il link al suo blog. L’opinione qui espressa è solo a carattere personale.