MILANO. «Da qui alla Stazione Centrale la corsa costa 8 euro, come un mojito. Per prepararlo il barista ci mette cinque minuti e due euro di ingredienti, io sto in coda un quarto d’ora e la benzina, come avrà notato, è aumentata». Stazione di Milano Lambrate, ore undici. Una decina auto bianche ferme in doppia fila. I tassisti la chiamano “iniziativa spontanea”.
A Milano è iniziata nel pomeriggio di ieri e continua anche oggi in molte città italiane: Roma, Torino, Genova. Tutto bloccato. Tecnicamente sarebbe interruzione di servizio pubblico, un reato previsto dall’art. 331 del Codice penale e punibile con la reclusione fino a un anno. Loro però minimizzano: «Non è vero che siamo fermi, abbiamo semplicemente ridotto il numero di corse, ma se uno deve andare d’urgenza in ospedale lo portiamo, gratis» spiega Paolo (nome di fantasia). È circa sulla quarantina e da vent’anni fa il tassista e spiega: «Il servizio minimo è garantito». In città, dicono, i colleghi stanno organizzando delle assemblee per discutere la bozza di liberalizzazioni del governo. Non sono per nulla intimoriti dai rilievi dell’Autorità di garanzia sugli scioperi, secondo cui lo stop è «illegittimo» poiché effettuato senza preavviso e senza alcuna informazione sulla sua durata. «Se necessario ci fermeremo anche domani. Passi per le lacrime, ma il sangue ce lo devono venire a togliere di dosso», continua Paolo inviperito. «La gente pensa che siamo una casta, ma siamo tutti figli di operai che con i pochi risparmi hanno preso la licenza aprendosi un mutuo per 15 o 20 anni».
Gli fa eco Marco, cinquant’anni e una licenza pagata cento milioni di lire nel 1994: «Negli ultimi anni abbiamo accolto le liberalizzazioni di Bersani e il concorso del sindaco Albertini. Lo scriva, noi siamo aperti al dialogo, vogliamo semplicemente essere invitati al tavolo». Il Decreto Bersani, nel 2007, introduceva tra le altre misure la seconda guida, previa registrazione presso il Comune, mentre l’ex sindaco di Milano, tra feroci discussioni, assegnò attraverso un concorso 500 nuove licenze.
Un tema che assieme alla cosiddetta “territorialità” rappresenta la principale fonte di preoccupazione nei confronti di quanto recita l’articolo 34 del decreto Salva Italia. Secondo uno dei più citati studi sui taxi, realizzato da Bankitalia nel 2007, proprio all’epoca della lenzuolata di Bersani, «il valore complessivo delle circa 20mila 450 licenze rilevate alla fine del 2004 nei capoluoghi di provincia italiani si aggira intorno a 4,5 miliardi di euro» (una cifra pari a un terzo di punto di Pil, faceva notare ieri su Twitter Riccardo Puglisi, ricercatore in Economia politica a Pavia e blogger de Linkiesta). Proprio dal social network in questi giorni è nata l’idea di uno sciopero dei clienti (l’hashtag #menotaxipertutti a mezzogiorno è trending topic) per il prossimo 20 gennaio, cioè tre giorni prima dell’iniziativa nazionale organizzata dai sindacati di categoria.
La licenza e le tariffe (qui lo schema sul sito del Comune) mostrate da un tassista in Piazza Bottini (foto a.v.)
Cos’è la territorialità e perché è un’altra questione delicatissima? «La licenza è concessa dal Comune e vale solo per il suo territorio perché è calcolata sul suo fabbisogno. Se ora liberalizzano ci troviamo tutti in colonna sulle corsie preferenziali», racconta Gianluca, ex operaio. «Io guadagno 2mila euro al mese, lavorando su un turno di 10 ore al giorno, sei giorni su sette, tolti i 750 euro di uscite per la licenza». «Questa è la mia pensione, il mio Tfr e le mie vacanze», dice Enrico, con il palmo della mano sul cofano della sua Fiat Bravo. Il tassista italiano è indipendente, e non vuole che spunti una società, acquisti un certo numero di licenze e paghi i conducenti a cottimo, a meno di non ricevere una forma di compensazione. C’è anche un risvolto sociologico: «Poi ci ritroviamo come a New York, con il pachistano che mangia la cipolla mentre guida e tiene sporca l’auto», è l’obiezione di alcuni.
E il risparmio per gli utenti? La distanza tra la stazione di Lambrate e Centrale è di 3,5 km, cinque minuti in metropolitana per 1,50 euro di biglietto. «Guardi che mica decidiamo noi», spiega Daniele, il più giovane della compagnia, che osserva: «Una volta il Comune parametrava le tariffe al costo orario di un dipendente Atm (la società di trasporto pubblico milanese, ndr), oggi si basa sui calcoli degli studi di settore». Insomma è colpa dell’Agenzia delle entrate. Nel capoluogo lombardo ci sono 38,9 licenze ogni 10mila abitanti (dati Bankitalia), ben sopra le 20 di media di Torino, Napoli e Genova. Roma, lo dicono anche i tassisti di piazza Bottini, è invece un mondo a parte. «Va bene, liberalizziamo, ma allora mettiamo una regola: nel centro di Milano si può circolare soltanto con i mezzi pubblici», è la provocazione che lancia Paolo. Un suggerimento neanche troppo peregrino per il sindaco Pisapia.
Twitter: @antoniovanuzzo
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