Qualche giorno fa mi è stato chiesto di spedire negli Stati Uniti una copia del mio passaporto con l’ “apostille” della Convenzione dell’Aja del 1961, che consente la legalizzazione e riconoscimento fra Stati dei documenti. Negli Stati Uniti d’America, l’apostille (che consiste in un foglio con firma di un soggetto abilitato che dichiara che quella copia è la copia valida di un certo documento) viene apposta da notai o funzionari di ogni Stato. I notai negli Usa non sono un numero chiuso e sono molto diversi dai nostri notai: anche un barbiere può essere un “Notary Public” (I requisiti variano da stato a stato, maggior informazioni qui ndr).
Poiché vivo ora a Roma ma sono un uomo di mondo ed anche laureato in giurisprudenza mi metto al lavoro immediatamente, dopo aver appoggiato sul tavolo il mio iPad aperto su Linkiesta, con interessanti articoli sull’imminente semplificazione amministrativa che sta per consentire all’Italia di fare un balzo avanti sulla via della semplificazione e facilità di approccio alle istituzioni. Riprendo l’iPad e digito su Google “legalizzazione documenti”. Subito appare la schermata del sito della Provincia di Roma che mi informa che l’apostille sui documenti viene messa 3 volte a settimana dalle 9 alle 12 presso un ufficio in Via Ostiense al 131. Il sito aggiunge che si «legalizzano a vista fino a 5 documenti».
Wow, dico a me stesso, se prendo l’autobus – così non inquino – faccio a tempo ad arrivare li in una mezz’ora. Faccio subito la fotocopia integrale del mio passaporto e mi precipito. Arrivato sul posto scopro che il palazzo contiene una serie di uffici pubblici (sportello immigrazione, multe etc.) e trovo molte persone ordinatamente sedute in attesa della chiamata del loro numeretto. Prendo il mio e mi siedo. Dovrò attendere 40 numeri prima di me. Mi armo di pazienza, ma i numeri scorrono con incredibile velocità grazie alla presenza di 3 funzionari allo sportello ed anche al fatto che molti titolari di numeretto devono aver abbandonato il campo. Vuoi vedere, dico a me stesso, che forse era vero che la Provincia, come istituzione, forse serve ancora a qualcosa, ed io mi devo ricredere,forse non va del tutto abolita. Osservo gli altri cittadini in attesa: la maggior parte sono stranieri che devono far legalizzare documenti.
Dopo poco arriva il mio numero. Raggiungo lo sportello e dico «apostille». Mostro la fotocopia e l’originale del mio passaporto. Il funzionario mi guarda con aria comprensiva e mi dice «Guardi che deve prima fare autenticare la copia del passaporto, noi poi metteremo l’apostille». Mi verrebbe da dire: “Ma come, io le mostro il passaporto in originale, Lei è un pubblico ufficiale nell’esercizio delle sue funzioni, non può farla Lei l’autentica?”. Ma mi ricordo di essere in Italia, per cui dico solo: «Bene, c’è un ufficio in questo palazzo pieno di pubblici uffici dove posso andare, autenticare e tornare?». «Ovviamente no», mi risponde solerte il funzionario, «l’ufficio più vicino e a Via Petroselli, presso gli uffici comunali». Via Petroselli mi ricorda immediatamente lunghe code sotto il sole in tempo di elezioni, quando non ti arrivava a casa il benedetto certificato elettorale. Deglutisco e dico: «Ma sono le 11, oggi è venerdì non ce la farò ad andare e tornare in tempo». Sono parole a me stesso, il solerte funzionario ha già chiamato il numero successivo, mi dedica un sorriso comprensivo e si concentra sul prossimo cliente.
Torno all’autobus – che in ogni caso passa ogni 25 minuti – e torno verso casa. Poi m’illumino: ma anche i notai possono autenticare copie di documenti! Arrivo sotto casa e vado spedito verso il notaio che ha l’ufficio qui vicino. Con grande gentilezza mi prende il documento e in un paio di minuti mi restituisce la copia autenticata. «Sa, è per l’apostille», dico io fiducioso. Lui annuisce comprensivo. Sono quasi felice. Venerdì ormai è andato, ma lunedì alle 9 in punto mi troverò a Via Ostiense e tutto sarà fatto in un attimo. In un piccolo anfratto della mia mente ancora risuona vuota e retorica la domanda: “Ma perché in quel grande palazzo pieno di uffici pubblici non ce n’è uno che faccia la prima parte dell’attività che si completa con la legalizzazione dei documenti. Perché non c’è un pubblico funzionario che autentica le copie?”. Ma l’incalzare degli eventi cancella la stupida domanda.
Lunedì arriva, è il 23 gennaio, sciopero dei taxi. Doppia ragione per tornare in autobus. Alle 8.25 sono sotto la fermata. Alle 9.10 varco la soglia dell’Ufficio Legalizzazioni. Strano, stavolta sono in netto anticipo ma dovrò aspettare almeno 50 numeretti prima di me. I funzionari sono gli stessi di venerdì. Questo mi rassicura. Attendo paziente. Di nuovo l’attesa è più breve del previsto. In poco più di mezz’ora arriva il mio turno. Il funzionario è diverso da quello di venerdì ma sono vicini di sportello. Presento il mio documento e dico «apostille, per favore». Lo sguardo questa volta è un po’ infastidito, mi dice: «Ma cosa abbiamo qui, una fotocopia di una fotocopia?». Intuisco a cosa si riferisce (ho una laurea in giurisprudenza, non scordatelo) e dico: «Guardi che quelle che a lei sembrano macchie di inchiostro, sono sigilli di congiunzione del notaio, su ogni pagina. Come noterà dall’ultima pagina, il documento è stato autenticato da notaio». Sorrido calmo, pensando di aver rintuzzato sul nascere l’italico spirito burocratico che cerca di trovare il cavillo, invece di aiutare il cittadino.
A questo punto però lui mi guarda trionfante. Io sento un sapore amaro in bocca, il sapore della sconfitta del cittadino davanti alla burocrazia. Lui respinge verso di me la mia fotocopia autenticata e mi dice comprensivo: «Ma signore, se l’atto è autenticato da un notaio, lei non può più venire qui, ma deve andare a Via Gregorio VII – circa un’ora di autobus – alla Procura della Repubblica. Solo loro hanno il registro con le firme di tutti i notai. Noi non possiamo fare più niente per lei». A questo punto balbetto: «Ma venerdì scorso il suo collega qua a fianco non mi ha detto che solo atti autenticati da pubblici funzionari che però non fossero notai potevano essere accettati. Mi ha detto solo: serve la copia autentica». Il disinteresse verso di me è però palese, misto a commiserazione. È la legge che stabilisce i compiti di questi uffici. «Tutti gli atti fatti da giudici o autenticati da notai sono di competenza della Procura della Repubblica», mi dice a mo’ di sentenza e richiamo al tempo stesso.
Vado via, e con sorpresa noto che riesco a salire sullo stesso autobus che avevo preso all’andata. Il traffico è stato tale che ci ha messo un’ora a finire il tragitto e tornare alla mia fermata. Nel tragitto, in un piccolo anfratto della mia mente, risuona vuota e retorica una raffica di domande: «Ma perché la Provincia non deve avere accesso alla lista delle firme autenticate dei notai come la Procura?». Perché se i notai in tutta Italia sono poco più di 5mila? Perché sul sito della Provincia non è scritto in modo chiaro che loro non possono legalizzare documenti autenticati da notai? Ma la Procura, la Provincia ed i Notai perché non possono dialogare fra loro e consentire ai cittadini di fare presto? Ma sopratutto, perché la pubblica amministrazione deve sempre ritenere che il cittadino le stia presentando un atto falso o cerchi di fregarla? Perché le leggi italiane sono costruite non per assecondare ma per ostacolare, ed i pubblici funzionari le interpretano per impedire, se si può, e non invece per facilitare?
A questo punto vado diretto ad una di quelle agenzie che si occupano di disbrigo pratiche. Mi chiedono un anticipo di 50 euro e mi dicono che non sanno stimare quanti giorni ci metteranno ad avere l’apostille dalla Procura perché dovranno lasciare l’atto e forse ci vuole la firma di un funzionario di grado più alto. Non lo so, non discuto e non mi interessa più. Ci metteranno forse una settimana. Ho capito che è colpa mia, che non ho studiato prima tutte le leggi sulla legalizzazione.
Ricordo che a Londra ci misero circa 5 minuti ad apporre l’apostille di fronte ad uno straniero sconosciuto,che ero io. Ricordo che pochi giorni fa per costituire una società a New York è stato sufficiente inviare via email il .pdf del mio famigerato passaporto. È bastato, e in due giorni la società era viva ed operante. E ora vedo che nonostante io abbia esibito l’originale del passaporto, nonostante abbia esibito la fotocopia autenticata dal notaio del medesimo passaporto, nonostante abbia esibito me stesso e altri due documenti ufficiali, tutti mostranti la mia fotografia di cittadino ingenuo, ci vorrà chissà quanto tempo per avere la “legalizzazione” del mio legale documento. Eppure la Convenzione dell’Aja è la stessa per Italia, Gran Bretagna, Usa e altri 70 Paesi al mondo, credo. E ora penso con tristezza a quei poveri ragazzi che, secondo il governo, potranno costituire “un’impresa in un giorno”.