ATENE – Ormai tutti dovrebbero aver capito che noi greci amiamo le tragedie. O al massimo che le tragedie amano noi. In ogni caso, non è per nulla scontato che la drammatica situazione in cui si trova ora il Paese finisca nel modo in cui ci auguriamo e che speriamo. Mercoledì l’Eurogruppo deciderà se la Grecia potrà ricevere il nuovo pacchetto di aiuti da 130 miliardi di euro. I ministri finanziari dell’eurozona hanno già chiesto ai leader politici di mettere nero su bianco i propri impegni nei confronti dell’Europa. E qui potremmo assistere ad una nuova tragedia.
I nuovi fondi comunitari consentiranno ad Atene di rifinanziare 14,5 miliardi di euro di bond in scadenza il 20 marzo, evitando così un fallimento disordinato del Paese, e di finalizzare l’accordo sul taglio al valore nominale dei titoli ellenici detenuti dal settore privato (Psi). Soltanto fino alla prossima tranche e al prossimo thriller, con le relative scadenze che la Grecia non rispetterà mai. Così i nostri “soci” perderanno nuovamente la pazienza e ci chiederanno ulteriori impegni e nuove misure di austerity. Dopotutto, soltanto poche ore fa Angela Merkel ha confermato la durissima presa di posizione della Germania sulla Grecia, ripetendo che non ci sarà alcuna modifica al nuovo piano di salvataggio. E poi che succederà? Ci saranno ancora tagli o un fallimento vero e proprio?
I cittadini non sono in grado di sopportare altri sforzi. Domenica sera più di 100mila persone sono scese in piazza per urlare la loro rabbia di fronte al Parlamento, che ha approvato un piano fatto di tagli salariali e al sistema pensionistico, di nuove tasse e nuovi oneri. C’è da dire che il primo piano di austerity non ha funzionato molto bene – poiché non è stato totalmente messo in pratica dai politici, troppo preoccupati dal suo costo elettorale – dato che il Paese rimane in profonda recessione. «I nuovi tagli ci uccideranno», gridavano ieri sera i manifestanti, e ancora: «Questo piano non aiuterà il Paese, lo seppellirà».
Sono in molti a essere d’accordo. Ieri il premier Papademos, annunciando il piano al Parlamento, ha ammesso che la Grecia soffrirà, ma riuscirà a non autodistruggersi e a rimanere in Eurozona. Quasi nessuno gli crede. La maggioranza dei cittadini ritiene che il piano sia destinato al fallimento. I tagli abbasseranno ancora i redditi e innalzeranno il tasso di disoccupazione, salito al 20% secondo le stime ufficiali, che parlano di un milione di disoccupati (1,5 milioni secondo le stime non ufficiali). A questo punto, il default è un’opzione?
Tranne la coalizione di Governo, i partiti d’opposizione rispondono affermativamente: «Il default è meglio dell’austerity. Non vi preoccupate, non possono farci uscire a calci dall’Europa», è il loro pensiero. Poi ci sono le istanze del partito comunista, che spinge per un’uscita immediata dall’Europa e per l’abbandono della moneta unica. Sicuramente il popolo greco preferisce continuare a essere parte dell’Europa, ma più le condizioni di vita diventano difficili più i cittadini accarezzano l’idea di un ritorno alla dracma, senza però essere consapevoli di quale sia il reale significato di una mossa simile. «La vita è già dura con l’euro, quanto potrebbe peggiorare con la dracma?», è la domanda che si pongono quotidianamente.
Purtroppo, all’orizzonte non c’è altra via che non sia aderire alle riforme che la Troika ci ha chiesto. Le riforme sono necessarie, e la Grecia avrebbe dovuto portarle a termine molti anni fa. Il Paese ha sicuramente bisogno di più tempo, ma anche di una prospettiva. In fin dei conti, negli ultimi anni Atene ha tagliato il suo deficit del 5 per cento. La vera domanda, allora, è: quanto tempo rimane alla Grecia? E quanto all’Europa? E soprattutto: quanto tempo vogliono concederci ancora?
*Caporedattore del giornale economico greco capital.gr