«Nel programma del Cinquestelle vi sono anche alcuni passaggi condivisibili, per carità, ma nel suo insieme è una straordinaria scorciatoia alla povertà. Alla decrescita infelice…», scrive il direttore del Corriere della Sera, Ferruccio de Bortoli. In effetti le idee di Serge Latouche, il teorico della decrescita, sembrano innervare parecchio la visione economico-industriale del movimento di Grillo, da lunedì scorso il primo partito italiano alla Camera dei Deputati. Ripubblichiamo una analisi di Giorgio Arfaras del febbraio 2012 quantomai attuale.
Mi è stato detto che Serge Latouche, il teorico della de-crescita, ha un seguito numeroso e devoto. Mosso da curiosità ho letto “La scommessa della decrescita” (Feltrinelli, 2006), che mi hanno detto essere la sua opera maggiore. Di seguito provo a discuterla.
Tutto ruota intorno alla premessa: «i limiti della crescita sono definiti, nel contempo, sia dalla quantità disponibile di risorse naturali non rinnovabili sia dalla velocità di rigenerazione della biosfera per le risorse rinnovabili» (pagina 12). Non avendo alcuna competenza per discutere la premessa, la prendo per buona. L’implicazione della premessa è che i limiti – ossia i confini della crescita – sono dati e dunque che è impossibile prima o poi non arrivare fino a loro. Altrimenti detto, se anche si riducesse il tasso di crescita dell’economia, al limite si arriverebbe più lentamente, ma si arriverebbe lo stesso. Il punto in questione è perciò che il limite naturale non è modificabile dall’attività umana. E’ qualcosa contro la quale non si può far niente.
Circa un paio di secoli fa alcuni economisti pensavano che la fertilità delle terre fosse decrescente e di conseguenza si sarebbe arrivati a un limite oltre il quale non si aveva modo di alimentare una popolazione crescente (Malthus). Potevano aprirsi nuovi mercati (Ricardo), ma alla fine, aperti tutti i mercati, si ha che la terra disponibile sul nostro pianeta è fissa. Il limite si è poi spostato nel tempo, man mano che si sono trovati i modi per rendere le terre più fertili, grazie ai trattori e ai fertilizzanti. Dice Latouche che in Francia nel 1960 un agricoltore sfamava sette persone, mentre oggi ne sfama ben ottanta (pagina 88). L’implicazione di questo salto di produttività in soli cinquanta anni, è che, essendo andati molto in là nello sfruttamento delle terre fertili, è probabile che il limite sia difficile da spostare ancora in avanti.
La soluzione del limite delle risorse c’è, ed è – secondo Latouche – la decrescita. Se, seguendo un esempio di Latouche, invece di bere acqua minerale in bottiglie di plastica, bevessimo l’acqua del rubinetto, consumeremmo meno carburante per il suo trasporto e meno camion per trasportarle, e quindi meno energia per costruire i camion. Infine, inquineremo meno. Il PIL – per come è calcolato – si ridurrebbe, ma la nostra vita non cambierebbe in nulla, e vivremmo entro i vincoli dell’ecosistema.
Per decrescere – secondo Latouche – si deve innanzitutto combattere la religione «della crescita, del progresso, e dello sviluppo» (pagina 11). La differenza fra crescita e sviluppo è che nel primo caso si ha una variazione del PIL a tecnologie costanti, mentre nel secondo si hanno innovazioni. Una distinzione inutile ai fini polemici. Diciamo allora – per semplicità – che si deve combattere la religione della crescita e del progresso. Laddove – secondo un pensiero condiviso da quasi due secoli – la Crescita fornisce le gambe del Progresso.
Per esempio, Marx sosteneva che, una volta che le «forze produttive» fossero state liberate dai «rapporti di produzione», si sarebbe avuto un tale benessere, che, lavorando poco, ci si sarebbe potuti dedicare alle proprie inclinazioni. Dal regno della “necessità” a quello della “libertà”. Anche Keynes sosteneva che, una volta che si fosse accumulato un capitale fisico sufficiente, si sarebbero potute perseguire le proprie inclinazioni. La crescita si sta però avvicinando – secondo Latouche – al limite naturale, le risorse non sono illimitate come si sarebbe potuto pensare fino a non molto tempo fa, perciò si deve arrivare in fretta al “regno della libertà” però in un mondo che consumi molto meno.
Secondo Latouche non si arriva al mondo dove si consuma meno con il Capitalismo (pagina 128). Non si ha in Latouche una definizione del Capitalismo (come potrebbe essere quella che afferma che è un’economia dove gli investimenti sono decisi in maniera decentrata e sono finanziati essenzialmente con il credito). Si ha, invece, una descrizione di quel che si deve fare, come lavorare meno con salari stabili, mentre si persegue la de-globalizzazione e lo smantellamento delle multinazionali, ecc. Quel che si deve fare è il contrario di quel che si fa ed è il Capitalismo.
Alla fine, vanno costruite delle reti economiche ridotte, dove può nascere un sistema politico molto vicino all’autogoverno. Si ha anche il volontariato, che può sostituire la spesa dello Stato Sociale, perché quest’ultimo ha bisogno per funzionare della crescita economica tradizionale.
In sintesi il ragionamento di Latouche è: 1) esiste un vincolo naturale alla crescita; 2) non si può ignorare un vincolo naturale; 3) la cosa migliore da fare è impedire che agisca, ciò che si ottiene attraverso la decrescita; 4) la decrescita è possibile solo abbattendo la mentalità consumistica; 5) l’economia localizzata e la democrazia partecipativa delle piccole entità sono la soluzione.
Tutto parte dalla premessa del vincolo naturale. Poniamo che ci sia. Il vincolo arriva, però non si sa quando. In finanza si direbbe che è una previsione di “trend” senza “timing”. Se la catastrofe arriva già visibile in pochi decenni, oppure se arriva fra molti secoli, fa differenza. Sarà difficile convincere le persone – a meno di riuscire a far funzionare la “pedagogia delle catastrofi” (pagina 180) – a tagliare verticalmente i consumi, invece di tagliarli con calma, come già avviene con le auto ibride e i pannelli solari.
La decrescita porta a una caduta del prodotto per occupato. Nel caso citato da Latouche, un contadino in Francia, invece di sfamare ben ottanta persone, torna a sfamarne solo sette. Ossia, abbatte la propria produttività. Diventando – è una delle proposte di Latouche – molto più numerosi i contadini, il prodotto finale (minor produttività moltiplicata per una maggior numero di contadini) dovrebbe restare eguale. Il prodotto per contadino però si riduce, e dunque si ha meno spazio a livello individuale per i trasferimenti dalle persone in età da lavoro agli anziani che vivono molto a lungo. Il mantenimento di una quota crescente di anziani che vivono molto a lungo con costi sanitari crescenti da parte di una popolazione a basso reddito può avvenire senza frizioni solo in un mondo dove prevale l’Amore. Insomma, è l’Amore, direbbe Tolstoi, che ci salverà dalla Catastrofe.
Il ragionamento di Latouche non è economico (non si specificano le assunzioni e poi non si procede discutendo i passaggi del percorso con le sue contraddizioni). Latouche parte, infatti, da una premessa oscura e arriva a una conclusione altrettanto oscura, dal momento che le cose proposte funzionano solo con un’umanità migliore. Non avendo a che fare con un pensiero passibile di verifica – che indurrebbe al distacco – si ha un pensiero para-religioso che alimenta la devozione.