Bruxelles – Potrebbe essere un “tesoretto” di almeno 250 miliardi di euro l’anno. Miliardi frutto di anni di evasione fiscale e nascosti nei paradisi fiscali europei extra-Ue, di cui gli Stati nella morsa della crisi del debito sovrano avrebbero bisogno come il pane. Ed è per questo che la Commissione Europea punta a migliorare un accordo di cooperazione fiscale in vigore dal 2004 con cinque paesi chiave: Svizzera, Liechtenstein, Principato di Monaco, Andorra e San Marino. Un miglioramento che consentirebbe agli Stati Ue di ottenere da questi paradisi fiscali informazioni su chi è accusato di evasione fiscale in patria. Piccolo problema: due Stati Ue (guarda caso essi stessi dei quasi-paradisi fiscali), il Lussemburgo e l’Austria, fanno muro e impediscono che la Commissione possa procedere all’aggiornamento dell’accordo. Possono farlo, visto che in ambito fiscale anche con il Trattato di Lisbona rimane l’obbligo di decisione unanime di tutti e 27 gli Stati membri. Al tempo stesso, Vienna e il Granducato stanno bloccando anche il rafforzamento della direttiva sul risparmio, che regola la tassazione degli interessi percepiti da cittadini di uno stato Ue in un altro Stato dell’Unione.
Due contro 25, insomma. «Nell’attuale situazione economica – tuona il commissario europeo al Fisco Algirdas Šemeta in un’intervista all’austriaco Der Standard – è un atteggiamento inaccettabile».
La materia è complicata e, all’apparenza, piuttosto arida. In realtà la posta in gioco è molto alta. L’attuale direttiva sul risparmio riguarda la tassazione degli interessi percepiti da una persona fisica di uno Stato Ue in un altro. Secondo la normativa, le banche sono tenute a fornire nominativi, indirizzi e informazioni sui conti bancari alle autorità del paese di origine del cittadino in questione in modo che siano applicabile le norme del paese di origine sugli interessi. Il segreto bancario, insomma, va definitivamente a farsi benedire. Austria e Lussemburgo – il cui segreto bancario è, se possibile, ancora più rigido di quello svizzero – avevano ottenuto una regola transitoria alternativa: anziché comunicare informazioni su nomi e conti, i due stati si sono impegnati a prelevare, per conto degli altri paesi Ue, il 20% (aumentati a 35% dal primo luglio scorso) sugli interessi derivanti da depositi di cittadini di altri Stati dell’Unione. Problema: la direttiva prevede che il regime transitorio per Austria e Lussemburgo finirà, guarda caso, quando la Commissione Europea avrà aggiornato l’accordo con i cinque paradisi extra-Ue includendo il cosiddetto “modello Ocse” che abolisce la netta distinzione tra frode fiscale ed evasione. Il nuovo accordo, cioè, obbligherà i cinque stati in questione a fornire informazioni non più, come prevede l’accordo del 2004, solo in caso di gravi reati di frode, ma anche per accuse più in generale per evasione fiscale.
Traduciamo: se la Commissione fa l’accordo, la norma transitoria per Austria e Lussemburgo decadrà automaticamente e così anche questi due stati dovranno cominciare, come gli altri 25, a fornire dati individuali e bancari relativi ai depositi di tutti i cittadini degli altri stati membri. Vienna e Lussemburgo chiedono che anche la Svizzera sia obbligato a farlo – mentre, lo dicevamo, per la Confederazione come per gli altri 4 paradisi non Ue, in base all’accordo con Bruxelles, le informazioni devono essere fornite unicamente in caso di accuse di frode (o, con il futuro aggiornamento, anche di evasione). Difficile uscirne anche perché ad agosto la Germania ha siglato un accordo con la Svizzera secondo il cosiddetto “modello Rubrik”, e ispirato, ironicamente, alla norma transitoria applicata da Austria e Lussemburgo: la Confederazione effettua un prelievo sui depositi di cittadini tedeschi e lo gira a Berlino senza rivelare l’identità. Difficile convincere Berna a tornare sui suoi passi e cominciare a rivelare anche nomi e conti, applicando una direttiva Ue senza essere stato membro. Corollario: Lussemburgo e Austria stanno bloccando anche la riforma della stessa Direttiva del risparmio, che deve chiudere una serie di lacune. Ad esempio includendo anche le persone giuridiche (per evitare che queste facciano da “scudo” a persone fisiche), o nuovi strumenti che producono interessi come assicurazione e prodotti finanziari complessi. La lotta all’evasione in salsa Ue può attendere, crisi o non crisi.