BRUXELLES – Quando si è diffusa la notizia del referendum sul Fiscal Compact, l’euro ha fatto un tonfo, salvo poi ampiamente recuperare. Perché il connubio Irlanda-referendum suscita inevitabilmente brutti ricordi, da ultimo il tormentone sul Trattato di Lisbona. Anche questa volta la popolazione è divisa, il 40% per il sì, il 36% per il no al Fiscal Compact.
In realtà, se i mercati si sono calmati in fretta, è perché questa volta è diverso. Questa volta non ci sarà la suspense fino all’ultimo, né, in caso di vittoria del no, gli irlandesi saranno chiamati a rivotare finché non avranno scelto quello che l’Europa vuole (come accadde con Lisbona). Memori delle troppe tensioni – ad esempio la ratifica del meccanismo di salvataggio provvisorio (Efsf) appeso fino all’ultimo al voto slovacco, con il governo di Bratislava caduto in nome del sì – per il Fiscal Compact è stato escogitato un trucco, dalle pesanti implicazioni per l’Irlanda: per entrare in vigore bastano 12 ratifiche (su 25 firmatari), e dunque un eventuale no dell’ex “Tigre” celtica sarebbe irrilevante, almeno dal punto di vista giuridico se non politico.
Ma per Dublino c’è di peggio. La Germania ha imposto una sorta di clausola capestro: il vincolo tra ratifica del Fiscal Compact e accesso ai fondi del fondo salva-stati permanente (Esm) che entrerà in funzione a luglio. «La concessione di assistenza nel quadro dei nuovi programmi sotto il Meccanismo di stabilità europeo – si legge nel preambolo del Fiscal Compact – sarà condizionata alla ratifica, entro il primo marzo 2013, di questo trattato da parte del paese firmatario interessato».
Tradotto: qualora l’Irlanda dovesse avere bisogno di nuovi aiuti, potrà scordarseli se avrà vinto il no. Questo, almeno dice la lettera del trattato. Enda Kenny, il “Taoiseach”, come viene chiamato il premier a Dublino, ha cercato di spargere ottimismo a piene mani, «Sono convinto – ha detto – che quando l’importanza e il merito saranno comunicato al popolo irlandese, questo sosterrà (il trattato ndr) con enfasi votando sì. Ritengono che sia nell’interesse dell’Irlanda che questo trattato sia approvato».
Molti osservatori sostengono che l’effetto del no potrebbe assestare un colpo molto duro all’Irlanda, che pure si sta riprendendo (basti dire che ieri il Tesoro di Dublino ha collocato titoli a dieci anni a un tasso del 6,89% mentre la Commissione Europea prevede per il 2012 una crescita dello 0,5%). Un no popolare alla politica di rigore e la prospettiva di un Irlanda tagliata fuori da eventuali, futuri aiuti, potrebbe essere devastante. Lo ha fatto capire anche il vice primo ministro Eamon Gilmore. «L’Irlanda – ha osservato – vuole uscire dal programma di aiuto senza dover ricorrere all’Esm, ma è chiaro che il fondo è un ulteriore sostegno che aiuterà a recuperare la fiducia dei mercati».
In realtà la partita è più complicata, a dimostrare i grossi limiti della lettera giuridica. Immaginiamo che l’Irlanda abbia detto no al Fiscal Compact, e che, magari anche per questo, come si diceva, si trovi in nuove gravi difficoltà. Davvero l’Europa potrebbe permettersi di dire a Dublino: arrangiati, non avrai un soldo? Davvero sarebbe possibile consentire che l’Eire vada in default, dopo che per due anni si sono versati centinaia di miliardi di euro per salvare la Grecia, proprio con l’argomentazione che non si può permettere un default di un paese dell’eurozona? È più che probabile che in questa infausta prospettiva, che ovviamente nessuno si augura, assisteremmo agli ennesimi vertici straordinari per trovare l’escamotage giuridico per aiutare egualmente l’Irlanda, con buona pace della clausola capestro del Fiscal Compact.
Oppure la severa Germania e gli altri partner dell’eurozona saranno chiamati a trovare i soldi da un’altra parte, con buona pace dei contribuenti. Aggiungiamo un problema di natura politica: pazienza se Gran Bretagna e Repubblica Ceca non firmano, ma un Fiscal Compact che lascia fuori anche un paese dell’euro sarebbe decisamente ammaccato. Ancora una volta, trucchi giuridici o meno, l’Irlanda e i suoi elettori avranno un ruolo molto importante in questa Europa che invece gli elettori li consulta meno che può. Perché gli elettori, si sa, sono imprevedibili.