Twitter è uno dei social network più discussi del momento. C’è chi lo usa per un sano divertimento, come ha dimostrato il Festival di Sanremo, e chi lo usa per lavoro. I giornalisti rientrano fra quest’ultima categoria. Eppure, anche in un mondo così meritocratico e democratico come Twitter, succede che qualcosa vada storto. Ecco cosa è successo a me.
Lo scorso 16 febbraio il desk Data Compliance di Thomson Reuters ha inviato una lettera a Linkiesta. In questo si specificava che voleva discutere quanto prima in merito al Data Compliance Programme, citando un mio retweet a un altro utente di Twitter. Non un tweet personale, ma una ripresa da un secondo utente, il quale aveva pubblicato sul suo account un contenuto dell’agenzia stampa. Viene spiegato al funzionario di Thomson Reuters che il mio utilizzo Twitter in modo personale, non riconducibile quindi a Linkiesta. Il risultato non cambia. Viene fatto notare che non v’è discrepanza fra i contenuti che twitto e la tempistica con la quale vengono inseriti sui siti web del gruppo. Anche in questo caso, nulla cambia. I toni si fanno più aspri e poco importa il fatto che ci siamo utenti, assai più seguiti del sottoscritto, che non solo twittano contenuti esclusivi di Thomson Reuters, ma lo fanno anche senza citare la fonte. L’ufficio Data Compliance fa la voce grossa e chiede a Linkiesta di dissuadermi dalla mia attività, chiedendo al mio caporedattore di «farmi desistere dal riportare in qualsiasi modo, via Twitter o qualsiasi altra maniera, i lanci di Reuters o le news». Esatto, comprese le news. Infine, l’ultima mail, nella quale, con tono perentorio e deciso, si passa alle minacce di azioni legali.
Al quel punto, decido di utilizzare lo stesso strumento in questione per far sentire la mia voce. Il responso ha stupito perfino me. Sono diversi i giornalisti Reuters che mi hanno espresso solidarietà, dicendosi allibiti per l’accaduto e scusandosi personalmente a nome della società. Addirittura, il social media editor Anthony De Rosa, che per me non solo è un tweeps da seguire, ma un esempio di giornalismo, si è preso a cuore la questione. Come lui, tantissimi altri. Infine, sono arrivate le scuse da parte del quartier generale di Thomson Reuters: «Ci aveva stupito la velocità dei suoi tweet, quindi pensavamo ci fosse qualcosa sotto, ma così non è».
La mia attività su Twitter è semplice. Come ogni giornalista, dò notizie. A volte mie, a volte de Linkiesta, a volte di altre fonti, come le agenzie stampa, italiane ed estero. Ma pur sempre citando. E paradossalmente è stato questo il mio errore. Gli strumenti che uso sono diversi. Ci sono gli abbonamenti basic per le notizie di Thomson Reuters, proprio come quello che utilizzo io, che si possono avere in diversi modi. Uno dei quali, possibile per tutti, è aprirsi un account, pagando, con una società di trading online. Dietro al pagamento di una fee, che la società gira poi a Thomson Reuters, si può ottenere un servizio che raccoglie e organizza headline e storie che sul sito, invece, vengono persi per via di una struttura poco virtuosa.
Ma non solo. Gli strumenti per avere le headline sono differenti. Uno dei più utilizzati fra giornalisti e analisti è quello di abbonarsi a uno squawk su web, un rullo continuo di notizie, che possono essere ascoltate o lette. Sono simili ad aggregatori di agenzie, le quali sono ritardate rispetto ai terminali ordinari di Bloomberg, Dow Jones o Thomson Reuters e vanno in contemporanea con la pubblicazione sui rispettivi siti internet. Gli squawk sono comodi, leggeri da aprire anche in caso di connessioni lente e riescono a dare una visione d’insieme quando serve.
Infine, ci sono le due principali televisioni finanziarie, come Cnbc o Bloomberg Tv. Se la prima è visibile dal satellite, la seconda, oltre che in questo modo, si può vedere anche tramite il sito internet dell’agenzia stampa. Ed è normale che entrambe, nelle varie headline in sovrimpressione, pubblichino i lanci d’agenzia, compresi quelli di Reuters.
La diffusione che Twitter ha avuto negli ultimi anni è incredibile. La velocità con cui si si muove questo universo è tale che molto spesso, come mi è capitato durante l’ultimo G20 di Cannes, sono stato io ad anticipare le agenzie stesse. Quando? Quando l’ex presidente del Consiglio Silvio Berlusconi ha detto che «i ristoranti sono pieni». Essendo in sala, in 6 secondi ho potuto inviare un doppio tweet, italiano e inglese, tramite il mio smartphone. I colleghi di una delle più celebri agenzie stampa statunitensi, dopo 3 minuti, erano ancora a scrivere la notizia per il terminale e di tweet nemmeno l’ombra. Senza contare che proprio l’account Twitter di ReuterInsider, uno dei servizi premium, mi ha più volte retweettato proprio i contenuti Thomson Reuters che ho twittato sul mio profilo.
Quello che è sicuro è che i giornalisti adorano Twitter. In Italia il fenomeno è esploso da poco, ma è già diventato capillare. All’estero, il mio universo di confronto quotidiano, è molto diverso. Se è vero che BBC e Sky hanno messo diversi paletti alla pubblicazione di tweet contenenti breaking news esclusive da parte dei giornalisti della testata prima che il contenuto sia pubblicato sul sito, è vero che le agenzie stampa si sono adeguate. Dow Jones ha recentemente iniziate a fare interviste su Twitter, utilizzando uno specifico hashtag (chiave di ricerca). Un esempio virtuoso e al passo coi tempi per un mezzo, Twitter, che è diventato sempre più importante per i giornalisti e non.