Da domani mattina, giuro, comincerò a chiedere in giro – nei bar, nei mercatini, a qualche amico più edotto di me – cosa fa un prefetto. Anzi, chi è un prefetto. E soprattutto cosa decide un prefetto. Al momento, mi è soltanto chiarissimo che un prefetto sospende le partite di calcio, che sono programmate già da un anno prima, stessa ora, stesso posto, stessa (probabile) temperatura atmosferica. Ragazzi, ho girato un po’ per manifestazioni sportive. In nessuna parte del mondo mi è capitato che sospendessero alcunché. Nei Paesi più rigidi – guarda tu che stravaganti – fermano per un po’ il campionato, almeno te ne fai una ragione che fa freddo. Qui da noi sono fuori di testa, prima programmano le partite nel gelo, poi s’incazzano se non si può giocare. Ma in Germania, Inghilterra e Francia si gioca regolarmente e nessuno fa un plisset!
Tra l’altro, nella comica c’è del comico. È utile sapere che quasi mai si rinvia una partita di campionato perché le condizioni del campo sono «proibitive», questa è una baggianata che ci si poteva vendere sino a qualche anno fa, ma che non ha alcun riscontro con la realtà. Adesso si fermano le partite – ecco che torna la figura del prefetto – perché manca la sicurezza sugli spalti o intorno allo stadio (all’ultimo momento anche Atalanta-Genoa è stata sospesa per lo stesso motivo, ma la decisione non è definitiva). La sicurezza sugli spalti? E quale, di grazia? Se parliamo delle nude strutture, sugli spalti, per definizione, non c’è insicurezza, ovviamente gli umani che possono comportarsi male o addirittura delinquere sono un’altra storia. Ma da ragazzi s’andava a San Siro e in tutti gli stadi d’Italia tranquillamente con la neve sui gradoni. Adesso, col riscaldamento della crosta terrestre i fiocchi sono diventati tossici?
Sì, sugli spalti ci può essere un pochino di neve, tu pensa. E siccome magari il signor Beppe ci scivola sopra e si fa la bua, il prefetto sospende la partita perché manca la sicurezza. Ma che paese del lella!
Tutti gli anni la stessa storia. Tutti gli anni la stessa polemica, con le colpe che rimbalzano da uno all’altro e con i prefetti che non vogliono restare con il cerino in mano, per cui sospendono e arrivederci e grazie. Non parliamo dei dirigenti sportivi, ai quali non può sfuggire che le sere d’inverno sono anche un filo rigide. E che magari c’è pure la neve, e che la neve, per un processo davvero singolare, può anche ghiacciare.
L’altro giorno, avventurosamente, abbiamo aperto un dibattito sulla necessità che il governo italiano non debba rinunciare alla candidatura di Roma per le Olimpiadi del 2020. Ne abbiamo fatto un problema di mentalità e di modernità. Ci siamo spinti a pensare che sarebbero persino un’opportunità di crescita per un Paese economicamente tormentato come il nostro. Basterebbe un turno di campionato, con quel che si porta appreso in termini di dilettantismo organizzativo, per smontare la nostra pur incrollabile convinzione. Mettendo insieme le cose, verrebbe da concludere: ma dove vogliamo andare così slegati, privi di una coesione sociale, senza il minimo ombrello protettivo di fronte all’inevitabilità del tempo cattivo?
L’unica soluzione è spostare il campionato per questi due mesi in Sicilia. Clima mediamente dolce, il mare, un buon pesce. Cosa volere di più?