I fratelli bauscia piangono calde lacrime e cominciano a interrogarsi – peraltro con ritardo colpevole – se il patron dei patron, ovverosia il Massimo Moratti, sia ancora il miglior presidente possibile per la società F.C. Internazionale. Il destino ha confezionato la sua vendetta con rara perfidia, ponendo sulla strada della Beneamata l’ultimissima della classe, il Novara, a cui il Mondo ha restituito l’orgoglio del combattimento, cosicchè adesso leccarsi le ferite per questioni puramente tecnico-tattiche appare francamente riduttivo rispetto al problema dei problemi. Cioè lui, il numero uno.
Utile, prima di affrontare il campo lungo di un’angoscia, mettere in cassaforte le sicurezze. Prima delle quali è certamente la consapevolezza che per disponibilità economica e per attaccamento ai colori, nessun altro come Massimo Moratti si potrà scovare sulla crosta terrestre. Ma bastano, le due caratteristiche, per essere considerato necessario alla causa nerazzurra, se non indispensabile, soprattutto adesso che parlare di rifondazione interista non sembra affatto un azzardo?
C’è da chiedersi, e la domanda si può girare in parallelo sulla sponda milanista, se i due cognomi magici – Moratti e Berlusconi – portino ancora con sé l’automatismo del consenso preventivo, al di là di ciò che di giusto o di sbagliato producono i due illustrissimi presidenti. Insomma, se per le due società meneghine non si vedranno più altre opzioni sul tappeto, se Milano rossonera morirà berlusconiana e quella nerazzurra morattiana, con buona pace di quell’idea di cambiamento che ogni tanto rinfresca le anime calciofile (pure la Juve graniticamente devota agli Agnelli rischiò di passar di mano). Si sa che in casa rossonera si agitano anime diverse, quell’anima contabile che vorrebbe sbarazzarsi dell’ingombrante creatura che drena fondi a più non posso e l’altra più romantica che identifica (impropriamente) la storia rossonera con l’avvento del Cavaliere.
Ma qui, oggi, si deve trattare di Inter e senza alcun accento sdolcinato, chè troppo spesso l’idea nerazzurra si associa ancora alla storia antica di quel Moratti visionario che fu papà Angelo, al quale si deve l’apertura al mondo di una squadra terribilmente concreta e potente ch’ebbe il Mago come espressione sublime d’ogni sentimento calcistico. Si deve parlare di una modernità che oggi dovrebbe portare le società a essere anche aziende funzionanti, in cui non appaia come un insulto quel richiamo al fair-play finanziario così caro a Michel Platini. Sotto questo cielo, comunque, un altro Moratti non ci sarà, un vero innamorato dell’Inter che ripiana i debiti con le sostanze di casa. Può bastare ai tifosi questo immenso amore?
Paradosso persino troppo crudele, ma il momento più alto dell’Inter si èavuto quando Massimo Moratti è stato commissariato da quel satanasso di Josè Mourinho, il quale ha portato su di sé – sul piano tecnico, di immagine, di relazioni – l’intero peso della società. Ciò esaltava il portoghese, che nel conflitto sociale dava il meglio (e il peggio) di sé, e in fondo non dispiaceva poi tanto al presidente, ampiamente ripagato da quelle messe di successi irripetibili consegnati alla storia con il nome di «triplete». Ma come sappiamo, esaurita la scorta di pazienza e di entusiasmo, lo Special One tramortì il popolo bauscia proprio la sera del trionfo di Champions, optando per una fuga assai poco nobile dalla porta posteriore. E da allora un altro Mou non si è più trovato.
Ecco, se gli si riduce il campo dei dubbi, se si limita al massimo la sua irrefrenabile voglia di mettere tutto in discussione per un paio di pareggi consecutivi, se lo si riesce a convincere che delegare a persone capaci e autonome nel giudizio è cosa non buona ma buonissima, se gli si toglie l’inutile paura che qualcuno può fargli ombra (ma qualcuno potrà mai fare ombra al numero uno?), ecco se si riesce in questa che appare come un’impresa titanica, allora Massimo Moratti è ancora il miglior presidente dell’Inter.
Ma tutto questo purtroppo non è, e allora è il caso anche di pensare al futuro.