Una legge che regoli il funzionamento dei partiti è indispensabile. Per tutta la Prima repubblica fu il Pci a resistere a questa idea non volendo intromissioni nella sua vita interna. Anche gli altri partiti, che talvolta sollevarono la questione, non erano interessati. Dopo la crisi del ‘92 il tema non venne mai seriamente affrontato e ancora oggi non c’è disciplina cogente su questa materia.
Nel frattempo i partiti sono cambiati, ne sono sorti di nuovi, altri hanno cambiato nome e persino campo, è esploso il fenomeno dei partiti personali e a forte caratterizzazione carismatico-plebiscitaria. Ma la legge tuttora non c’è. Il Fatto Quotidiano ieri ne ha proposta una fondata sul limite dei rimborsi elettorali, sulla necessità di rendere espliciti anche i finanziamenti cosiddetti minori, da 5mila euro in su, su norme severe in caso di violazione. Se il Parlamento vuole far recuperare ai partiti e alla politica il rispetto dei cittadini deve nel giro di poche settimane legiferare.
Siamo infatti di fronte a uno scandalo devastante. In questo scandalo emergono più fatti inaccettabili. Sono questi: l’enormità dei rimborsi, il perdurare di questi oltre la vita dei partiti aventi diritto, una soglia troppo alta per l’obbligo di dichiarare i finanziamenti privati, i controlli fatti in casa, l’inesistenza di sanzioni che scoraggino la violazione della legge. Il panorama politico-partitico offre così una scena non incoraggiante. Molti partiti non sanno neppure che cosa sia la democrazia interna, in alcuni partiti, è successo alla Margherita, tutto è affidato a un solo uomo per giunta non sottoposto a vigilanza, alcuni partiti gestiscono nella stanza privata del leader finanziamenti e investimenti, le campagne elettorali sono troppo costose e anche le primarie rischiano di diventare non il sistema per reclutare i più bravi e i più popolari ma quelli che sono in grado di raccogliere più fondi.
L’idea iniziale dei partiti come promotori di democrazia e di uguale cittadinanza si trasforma nell’accettazione di sistemi che stabiliscono nuove barriere per l’accesso alla politica invece di eliminarle. Servirebbe un comitato nazionale dei saggi che faccia le pulci ai bilanci degli attuali partiti per vedere come vengono finanziati e come spendono. Servirebbe un’indagine, non giudiziaria, per render conto come i partiti, anche quelli personali, regolano la loro vita interna. I partiti non devono aver paura dei controlli esterni sia sui bilanci sia sulla loro democrazia.
Un’associazione privata che fa attività culturale può fare, nel rispetto delle leggi, quello che vuole, ma un partito che ambisce a guidare lo Stato non può farlo e deve dimostrare di saper usare i fondi pubblici, di poter resocontare quelli privati, di avere regole interne che garantiscano il pluralismo. Nel caso di Lusi mi colpisce il fatto che senza l’intervento della Banca d’Italia e della magistratura nessuno avrebbe sollevato il dubbio sul clamoroso mutamento del tenore di vita del senatore. Non ha mai invitato un collega di partito nella villa mega-galattica di Genzano? C’è poi l’altro tema che riguarda l’omesso controllo: come si può accettare che ci siano politici che ambiscono a governare la cosa pubblica ma che non sono in grado di controllare la cosa privata?
Ho ascoltato Rutelli ieri a Otto e mezzo. Se devo dire la mia, dico che era sincero. Io gli credo. Ma anche Rutelli si renderà conto come la vicenda Lusi renda difficile a lui e agli altri controllori disattenti proporsi alla guida della cosa pubblica. In un momento come questo partiti e fondazioni devono aprire porte e finestre e far guardare dentro. Solo chi avrà il coraggio di mostrare se stesso potrà candidarsi a gestire con sobrietà, capacità e spirito repubblicano questo disastrato Paese.
Altrimenti non c’è alternativa a Monti.