Alemanno ha trasformato Roma in Romanzo criminale

Alemanno ha trasformato Roma in Romanzo criminale

Roma. Nel 2008 il sindaco Gianni Alemanno vinse le elezioni all’insegna della battaglia sulla sicurezza. Eppure negli ultimi quattro anni Roma ha scoperto di essere una città violenta. Una metropoli criminale, dove si spara e si ammazza. In cui è diventato pericoloso uscire la sera, non importa se in centro o in periferia. Ma Roma è anche una città dove cresce il disagio sociale. Una città vulnerabile: in cui trenta centimetri di neve bastano per chiudere scuole e uffici pubblici. E in cui un temporale – ma in un’occasione è stata sufficiente l’inaugurazione di un negozio di elettronica – riesce a paralizzare interi quartieri. Una città che ha provato più volte a rilanciare la propria immagine all’estero, magari candidandosi a ospitare un grande evento sportivo (dalla Formula Uno alle Olimpiadi). Ma che per un motivo o per un altro non c’è mai riuscita.

«Chi ha detto che quella di Gianni Alemanno è stata una cattiva amministrazione?». Tra i parlamentari vicini al primo cittadino della capitale qualcuno si stupisce. «Certo – racconta uno di loro – Il sindaco avrebbe potuto fare come Walter Veltroni, passare il suo tempo da un’inaugurazione all’altra. E invece ha scelto di occuparsi dei problemi reali della città. Un lavoro che ha portato avanti con alterne fortune, ma di cui oggi è soddisfatto». Il ritratto della Roma di Alemanno è tutto in quella frase: «alterne fortune». Perché il sindaco sarà pure soddisfatto del proprio operato – anzi, ha più volte ripetuto che tra un anno legittimerà la sua ricandidatura partecipando alle primarie – ma era da decenni che la città eterna non viveva un periodo così buio. E allora chissà, forse hanno ragione i deputati alemanniani: la responsabilità di una città allo sbando non può essere tutta del primo cittadino. Ma è difficile non pensare al sindaco quando si rileggono le cronache della Parentopoli capitolina o dei continui rimpasti di giunta (tre solo nell’ultimo anno).

La Roma di Gianni Alemanno? Una realtà da «romanzo criminale», stando a una recente definizione del presidente della Corte d’appello Giorgio Santacroce. Dall’inizio del 2011 in città si sono registrati una quarantina di omicidi. Fatti di sangue cruenti. Come l’assassinio del commerciante cinese Zhou Zeng e della piccola figlia di nove mesi, uccisi lo scorso gennaio durante una rapina a Torpignattara. E spesso insoluti (uno dei presunti killer di Zeng è stato trovato dieci giorni dopo l’omicidio in un casolare a via Boccea, dall’altra parte della città. Misteriosamente impiccato a un gancio, a diversi metri di altezza). Dopo anni di relativa calma, nella capitale si è tornato a sparare. Una nemesi, per Gianni Alemanno. Quattro anni fa il sindaco aveva conquistato il Campidoglio puntando proprio su questo argomento. Una campagna elettorale martellante, tutta incentrata sulla «tolleranza zero», che divenne determinante dopo uno stupro avvenuto alla stazione de La Storta, Roma Nord. Una lunga accusa ai quindici anni di amministrazioni di centrosinistra, incapaci di garantire la sicurezza in città. Oggi è chiaro che se nella gestione Alemanno c’è stato un fallimento, non può che essere questo.

Nel frattempo la capitale è diventata una delle realtà più pericolose d’Italia. Lo conferma un recente studio sulla qualità della vita elaborato dall’università La Sapienza. In tema di “criminalità” si classifica tra le ultime città italiane: all’86° posto su 103. Violenza crescente e diffusa. Ormai a Roma i fatti di sangue non interessano più solo le borgate di periferia. Si sono estesi come una metastasi, fino a raggiungere i quartieri più altolocati. Gli abitanti di Prati se ne sono accorti la scorsa estate. Con l’omicidio di Flavio Simmi. Un ragazzo poco più che trentenne giustiziato da due killer vicino a Piazza Mazzini. A pochi passi dalla sezione Pd di Massimo D’Alema e dai centralissimi uffici della Rai. Un’esecuzione in piena regola tra i palazzi della ricca borghesia. Scenario impensabile fino a qualche tempo fa.

Achille Serra conosce la realtà romana come pochi. Senatore del Terzo polo, è stato il prefetto di Roma dal 2002 al 2006. A sentire lui, la capitale non è mai stata così pericolosa. «È sotto gli occhi di tutti – racconta – Oggi in città si respira una violenza mai vista prima». Una violenza diffusa: «Anzitutto – continua l’ex prefetto – sono aumentati i regolamenti di conti tra le grandi organizzazioni criminali che cercano di mettere le mani sulla città. Parlo della mafia, della camorra».  Parallelamente si è alzato il livello di scontro tra le bande locali. Quelle che si contendono il territorio cittadino, spesso in lotta per la gestione del mercato della droga. Senza tacere della nuova ondata di microcriminalità. «Quella più capillare – spiega Serra – la violenza di strada. In crescita a causa del disagio sociale. È chiaro: se aumenta la povertà, aumenta anche la malavita». «La città ha bisogno di vivere attraverso attività culturali, socialità – racconta l’ex sindaco Francesco Rutelli, in Campidoglio dal 1993 al 2001 – Oggi invece le periferie romane sono un deserto. Non ci sono iniziative culturali, non c’è supporto all’associazionismo. Mancano tutte quelle iniziative sociali che rendono vivibili, e quindi sicuri, i quartieri».

E poi c’è la violenza politica. Quella che ha insanguinato le strade di Roma negli anni Settanta. E che da qualche tempo sembra essersi riaffacciata in città. È successo lo scorso aprile: una sparatoria a Corso Francia, di fronte ai lucchetti di Ponte Milvio. Il consigliere circoscrizionale di estrema destra Andrea Antonini, vicepresidente di Casa Pound, viene raggiunto da alcuni colpi di arma da fuoco mentre è sul suo motorino. Uno scenario inquietante, che riporta indietro di trent’anni. Qualche mese dopo un’altra aggressione. Stavolta a farne le spese sono alcuni militanti del Partito democratico. Pestati a colpi di bastone e spranghe mentre incollano manifesti in zona Prati Fiscali, quartiere residenziale nel quadrante nord-est della città. Fatti di cronaca già visti, pagine di una storia che si pensava archiviata. E che nella Roma di Gianni Alemanno – che quegli anni li visse in prima persona – torna con inquietante frequenza.

All’ombra del Cupolone come negli anni Settanta? «Il paragone non è campato in aria – racconta ancora Serra – Allora in città c’erano problemi sociali rilevanti. Questioni che riguardavano il lavoro, l’economia. Proprio come oggi. C’è un parallelismo preoccupante, che impone di tenere un’attenzione altissima». La responsabilità, ovviamente non può essere solo dell’amministrazione cittadina. Il problema della violenza è complesso e nasce da una miriade di concause. «Ma Alemanno – spiega Serra – ha una grave colpa. Una responsabilità che risale alla sua campagna elettorale: si è appropriato di un tema che non gli poteva competere». È d’accordo il senatore Francesco Rutelli, che nel 2008 contese ad Alemanno la poltrona di sindaco della Capitale: «In quell’occasione la strumentalizzazione del tema sicurezza è stata determinante. Una scelta a mio modo di vedere spregiudicata e irresponsabile, che si è rivelata un boomerang. Ricordo che il programma di Alemanno prevedeva l’immediata espulsione di ventimila stranieri irregolari. Qualcuno mi sa dire che fine ha fatto questo progetto?».

Roma vista dalla cupola di San Pietro (Flickr – MarcelGermain)
Tor Pignattara, teatro del duplice omicidio di Zhou Zeng e della figlia Jo (Flickr – a_voi_comunicare)
In una classifica sulla “criminalità” Roma si classifica tra le ultime città italiane: all’86° posto su 103
Scena dell’omicidio di Flavio Simmi nel quartiere Prati

Roma città violenta. E, almeno stando alle accuse dell’opposizione, poco solidale. Un affronto per Gianni Alemanno. Missino cresciuto all’ombra di Pino Rauti – così vicino al fondatore di Ordine Nuovo da averne sposato la figlia – e tra i principali esponenti della destra sociale. «Sarà. Ma il sociale questa città non sa più nemmeno cosa sia» racconta Emanuela Droghei, responsabile politiche sociali del Pd romano. «Un esempio? – continua l’esponente democrat – Da quattro anni aspettiamo invano il piano regolatore sociale cittadino. Un documento che secondo la legge dovrebbe essere approvato ogni due anni, di cui si sono perse le tracce dal 2004». In realtà lo scorso ottobre la giunta Alemanno ha approvato il Prs 2011-2015. «Questo è vero – taglia corto la dirigente Pd – Ma in quattro anni non sono riusciti a portare in Consiglio neppure un Piano». Qualche mese fa Emanuela Droghei ha lanciato l’iniziativa «Viaggio nella Roma abbandonata di Alemanno». Una visita a diverse strutture, cooperative, associazioni che operano in città – una tappa per ogni municipio – per toccare con mano le difficoltà dei servizi sociali della Capitale. Il risultato di quell’esperienza, a sentire lei, è desolante: «Aiuti alle donne, assistenza ai minori e agli anziani, sostegno alle famiglie: nei municipi non è rimasto più nulla. L’impressione è quella di una città che si spegne. Credo che si tratti di un progetto tutt’altro che casuale: l’obiettivo di questa giunta è quello di marginalizzare tutte le esperienze che le amministrazioni di centrosinistra avevano creato negli ultimi anni».

Come se non bastasse, a breve l’amministrazione Alemanno dovrà prendere una decisione importante. Entro questa settimana arriverà in Giunta il bilancio di previsione del Campidoglio. Tra i tagli di Stato e Regione, negli ultimi tempi far quadrare i conti è diventato sempre più difficile. Stavolta a farne le spese rischiano di essere le politiche sociali. Per il Partito democratico si prospetta una sforbiciata di almeno il 30 per cento per l’intero settore. Ma la maggioranza giura che i servizi non saranno toccati. Ne è convinto anche Massimiliano Lorenzotti, il presidente dell’VIII municipio (e responsabile per le politiche sociali). Eletto con il Pdl, Lorenzotti governa uno dei quartieri più difficili della città. Siamo all’estrema periferia est della Capitale, borgata Tor Bella Monaca. Dove svettano le “torri”, i palazzoni simbolo dell’edilizia popolare degli anni Ottanta che il sindaco ha promesso di demolire per riqualificare l’intera zona («E fa bene – spiega il presidente del municipio – perché qui sembra di stare in Unione sovietica»). «Certo – racconta al telefono Lorenzotti – i fondi non bastano mai. Ma sarebbe troppo facile addossare la colpa all’amministrazione cittadina. È un problema che in periferia si presenta con le Giunte di ogni colore». A sentire lui, nella Roma di Alemanno il sociale resta un capitolo fondamentale. «Ovviamente se ci fossero più soldi potremmo lavorare meglio, potremmo abbattere le liste di attesa. Ma i servizi ci sono, funzionano. E sono certo che al momento di votare il bilancio, la Giunta non toccherà gli stanziamenti relativi alle politiche sociali. Per il sindaco Alemanno questo è un tema troppo importante».

C’è una storia che meglio di altre racconta le luci e ombre della solidarietà nella Roma di Alemanno. È la vicenda dell’associazione Casa al plurale. «La nostra organizzazione – racconta il presidente Luigi Vittorio Berliri – gestisce le case famiglia che accolgono persone con gravi handicap. I nostri ospiti, in particolare, sono quei disabili rimasti soli. Che non hanno più parenti in grado di accudirli». In tutta la città ci sono 54 strutture (un quarto di quelle presenti a Torino). Sufficienti per rispondere alle domande di circa 400 disabili. «Ma a quanto mi risulta – continua Berliri – in lista di attesa ce ne sono altrettanti». La situazione è difficile: per continuare a operare i centri avrebbero bisogno di almeno 15 milioni di euro l’anno. La giunta Alemanno ha autorizzato una spesa pari a 1 milione di euro per il 2011 e un milione 800mila per l’anno in corso. Ma gli operatori di Casa al plurale sembrano essere soddisfatti. «Considerato il difficile momento economico che sta vivendo Roma e il Paese – spiega Berliri – si tratta di parecchi soldi. Lo scorso autunno non avevamo più speranza, stavamo per chiudere le strutture. Il Campidoglio ci ha convocato e il sindaco si è preso carico della situazione». Come si può andare avanti con meno del 10 per cento dei fondi necessari? «Tagliamo – continua Berliori – Tagliamo tutto quello che si può. D’altronde il nostro non è un servizio che si può ridurre. Se un asilo nido non ha i fondi può dimezzare l’orario. Ma io non mi posso permettere una cosa del genere. I disabili non possono essere accuditi solo metà giornata. Nelle nostre case famiglia loro ci vivono». E così gli operatori hanno iniziato a saltare i pasti durante l’orario di lavoro. «Si risparmiano quei due euro a testa che alla fine del mese fanno la differenza». Ci si limita al massimo: «Un tempo si andava in piscina, si usciva la sera. Ora non si fa più nulla». Ma le Case famiglia, almeno per ora, restano aperte.
(1- continua)

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