Caro Alberto,
Ti scrivo quello che leggerai quando riaprirai gli occhi. Non ha senso discutere adesso delle ragioni, dei motivi – ripeto: ignoti – che hanno condotto ad un gesto così vile.
Non è dato sapere se hanno voluto mirare alle Tue idee, che condividiamo da sempre e custodiremo per sempre. Le Tue, le mie idee, le nostre idee non possono essere vinte.
Ma certo non sono riusciti a colpire l’altra parte di Te che affascina chi ha il privilegio di entrare in confidenza con Te: il cuore.
Perché di Te, mio caro Amico che mi hai sempre trattato come si tratta un fratello minore difficile e riottoso, ciò che colpisce non sono i titoli accademici, la cultura nel senso alto del termine, ma il cuore, la generosità, il disinteresse che hai sempre dimostrato a chi, come me, si rivolge a Te per un conforto, per un parere, per un’opinione, per una guida. Certo che farai sempre il possibile, e spesso molto di più, per rispondere, per dimostrare che anche se siamo agli antipodi geografici di questo paese – paese che continuiamo ad amare nonostante tutto – sai essere vicino.
Chi mi fece fare la Tua conoscenza, vecchio amico del Tuo papà, mi disse: il padre aveva un cuore grande, era un uomo onesto e generoso: sappi che Alberto ha ereditato il cuore del papà.
E nei nostri dialoghi, nei nostri confronti, non mi hai mai fatto pesare la Tua superiorità professionale, accademica, culturale.
Sai essere un maestro con l’esempio, con l’approvazione spesso affidata a brevissimi e telegrafici messaggi.
Non c’è rigo che io abbia scritto che non sia passato, sempre in anteprima, sotto il Tuo sguardo. Non per cercare la Tua approvazione, ma perché è un modo che noi due abbiamo di sentirci vicini e di scoprire che parliamo la stessa lingua, la lingua della moderazione, della gentilezza, del garbo, dell’attenzione alle ragioni dell’altro, ma pronti a difendere sempre i nostri principi liberali.
Non ci siamo mai sentiti catafratti da armamentari ideologici, ma abbiamo e condividiamo la stessa passione per l’osservazione della società, che non vogliamo sovvertire, ma rendere più giusta, più libera, più equa, più aperta, inclusiva. E questo risultato lo vogliamo ottenere persuadendo, convincendo, ma sempre pronti a riconoscere che anche il nostro interlocutore ha le proprie ragioni.
Ci siamo incrociati l’ultima volta ieri pomeriggio. Abbiamo, come sempre, messo in agenda tantissim cose, idee abbozzate, iniziative da intraprendere, condiviso giudizi, opinioni, ambizioni.
Mi hai detto: mercoledì sono a Roma e vorrei che Tu fossi romano. È il Tuo modo per invitarmi. Ti avevo detto: farò il possibile.
Oggi, invece, vorrei solo essere torinese. Per testimoniarTi il mio affetto, la mia vicinanza aspettando qualche buona notizia nei corridoi dell’ospedale, tra i comuni amici.
Ti aspetto, come sempre in debito. Tuo.
Lettera Firmata