Una legge che punisce severamente chi si macchia di ‘reati’ in rete. Una stretta sul web che condanna, con multe salatissime e carcere, non solo i cyber attivisti ma tutti i cittadini siriani che faranno un’informazione considerata antigovernativa dal regime stesso. Il testo è stato pubblicato dall’ agenzia di stampa araba siriana (Sana) il 9 febbraio 2012, dal titolo «Legge per la regolamentazione delle reti di comunicazione contro i cyber-crimini». Telecomix, un collettivo di hacker da tempo in soccorso dei dissidenti sul web, non ha dubbi: «È evidente che Bashar al- Assad vuole usare questa legge per qualificare come terrorista chiunque utilizzi il computer; vuole legittimare la sua azione repressiva nei confronti dei dissidenti. Sono norme molto dure […] forse non spaventeranno gli attivisti- che non hanno nulla da perdere e sono pronti a sacrificare la vita pur di ottenere la libertà – ma la gente comune sì. Utilizzerà la normativa per mantenere integra la sua figura davanti il suo popolo, quello che lo sostiene. La stessa cosa vale per il referendum che è stato recentemente approvato con più dell’ 80% degli aventi diritto al voto: può adesso dire che ha il supporto dell’intera popolazione e che chiunque lo combatte, dentro e fuori la rete, è un sovversivo, nemico del Paese». Esclama Okhin, membro del gruppo.
Nel dettaglio la legge, 36 articoli e 5 capitoli, non salva nessuno. Si legge nel testo «Chiunque intenzionalmente accede ad un computer o ad un sistema informatico o ad un sito illegalmente senza avere il permesso o il diritto o l’autorità per farlo, sarà punito con una multa da 20,000 fino a 100,000 sterline siriane (SYP)». Che sarebbe più o meno 1.312 euro (in un Paese dove il Pil pro capite è di 3788 euro). Insomma, non devi essere per forza un’attivista, chiunque abbia voglia o esigenza di connettersi per esprimere liberamente le proprie idee dovrà pensarci molto bene prima di farlo. «È un modo per tenere alla larga i cittadini da questo strumento» sostien Okhin. «La gente siriana ha paura che quello sta succedendo oggi ad Homs può accadere in altre città della Siria. Molti non si espongono, non dicono nulla, anche per questo motivo».
Il testo è vago e generico, si legge: «In caso il soggetto faccia una copia dei dati memorizzati o delle informazioni o cancelli, modifichi, cambi, usi, imiti o divulghi -senza autorizzazione- le informazioni, sarà punito con il carcere per una durata da tre mesi fino a due anni». L’articolo 17 mette poi l’accento sui software creati con scopi criminali per causare danni più o meno gravi ad un computer: «Chiunque intercetti dati o crei o utilizzi malware […] sarà punito con una multa da 500,000 fino a 2500000 SYP e fino 5 anni di carcere». Questo punto è quantomeno paradossale: sona stati appena resi noti dei programmi creati ad hoc dal regime per spiare e controllare i cittadini online.
Il testo spiega poi chi, concretamente, si occuperà di vigilare. Si legge al capitolo IV: «La polizia giudiziaria competente, scelta dal Ministro degli Interni, indagherà su i crimini in rete, rintraccerà prove evidenti di reato, arresterà gli attori del crimine; e li porterà davanti alla Corte competente per farli punire». La polizia in questione sarà ovviamente ben selezionata e affiancata da personale competente: «La polizia giudiziaria fa ricorso all’aiuto di esperti, temporanei o permanenti, scelti dal Ministero della Difesa, dal Ministero della Giustizia, e dal Ministero della Comunicazioni e Tecnologia, affinché possa svolgere i compiti che gli sono stati affidati. Gli esperti, da parte loro, giurano che diranno il vero».
Secondo Okhin «questa normativa è stata adottata senza nessun tipo di sorpresa». La tattica del regime è chiara: «Penso che Bashar al Assad stia cercando di trovare una giustificazione nei confronti delle persone moderate, della classe media borghese che ha paura di quello è in atto in Siria».