Il grande evento della Roma di Alemanno è stato Parentopoli

Il grande evento della Roma di Alemanno è stato Parentopoli

Roma. Un capitolo a parte lo merita il difficile rapporto di Gianni Alemanno con la meteorologia. Piene del Tevere, nubifragi, allagamenti. Persino una nevicata, che a Roma non si registrava dal lontano 1985. Da quando l’ex ministro è salito al Campidoglio, la capitale sembra essersi trasferita nella terra dei monsoni. Acqua, vento o neve, il risultato è sempre lo stesso: una città paralizzata. Anche se il vero fil rouge dei disastri ambientali nella Roma di Alemanno è la polemica del giorno dopo tra il sindaco e la Protezione civile. Un appuntamento fisso. Un rimpallo di responsabilità cui l’amministrazione cittadina non sembra poterne fare a meno.


Autunno 2008, il Tevere straripa. Alemanno, eletto da poco, segue sul campo l’evolversi degli eventi. Nonostante alcune forzature – a un certo punto chiede persino ai romani di non uscire di casa – il sindaco sembra avere il polso della situazione. «Alcune aree si sono allagate – racconta – circa mille persone sono state sgomberate e ora sono ricoverate alla Fiera di Roma e in altre strutture». Poche ore dopo il vice capo del dipartimento di Protezione civile Bernardo de Bernardinis lo smentisce malamente: «Ma quali sgomberi? Non è stato sfollato nessuno. Non abbiamo chiesto a un solo romano di allontanarsi dal lavoro o dalla propria abitazione». Autunno 2011. A Roma arriva l’alluvione. Un’ondata eccezionale di maltempo che – anche a causa delle malandate reti fognarie – allaga la città. «L’allerta meteo parlava solo di temporali, non di piogge torrenziali» si giustifica il sindaco, a cui non resta che chiedere lo stato di calamità naturale. Anche stavolta dalla Protezione civile arriva la smentita: il Campidoglio è stato avvertito per tempo dei rischi.

Qualche settimana fa, Roma si sveglia sotto una coltre bianca. Non è una tormenta siberiana, ma trenta centimetri di neve bastano per paralizzare un’altra volta la città. Per Alemanno, provetto alpinista, è quasi un smacco. Lui, dominatore delle vette himalayane, bloccato da una spruzzata di neve. Costretto a chiudere uffici pubblici e scuole, anche stavolta se la prende con il responsabile della protezione civile Franco Gabrielli. I due si accusano, si smentiscono, poi si insultano in diretta tv. Il primo spiega di non essere stato avvertito per tempo, l’altro giura di aver fornito tutte le indicazioni necessarie per affrontare l’emergenza. E qui, secondo alcuni, il primo cittadino fa il peggiore autogol. Tenta la carta della sovraesposizione mediatica.

Nel giro di due giorni interviene a decine di trasmissioni tv. Si fa fotografare in città mentre spala la neve, pulisce le strade. In rete gira persino un video in cui Alemanno perlustra Roma di notte, ispezionando fino all’alba le squadre di operatori preallertati per la seconda nevicata. Un’operazione propagandistica che nemmeno Silvio Berlusconi negli ultimi giorni di campagna elettorale. «A difesa del sindaco – racconta il suo predecessore Francesco Rutelli – bisogna riconoscere che rispetto al passato i fenomeni meteorologici estremi sono aumentati. Un’indubbia conseguenza dei cambiamenti climatici». La giunta non sarebbe comunque esente da colpe: «Di fronte a questa verità – continua Rutelli – l’amministrazione ha il dovere di rafforzare la prevenzione e di informare i romani. Mi riferisco alla manutenzione dei corsi d’acqua minori e all’ammodernamento dei servizi tecnologici. Ma anche ai rapporti con i cittadini. Quando si annunciano eventi meteorologici particolarmente severi è necessario avvertire immediatamente la popolazione. La vera origine del disagio durante la recente nevicata è stata proprio questa: un urgente appello fuori tempo a lasciare gli uffici, che ha paralizzato la viabilità. Ma nei momenti di crisi la cosa migliore che Alemanno è riuscito a fare è stato litigare con la Protezione civile e il ministero dell’Interno».

Lo scandalo che resterà indelebilmente legato alla Roma di Alemanno esplode alla fine del 2010. A sollevare il velo sulla “parentopoli” del Campidoglio sono alcune inchieste dei principali quotidiani romani. Lo scenario che emerge fin dai primi giorni è il seguente: centinaia di assunzioni nelle principali municipalizzate della città legate a favori personali e simpatie politiche. Uno spoil system all’amatriciana. I giornali raccontano di duemila nuovi assunti all’Atac e all’Ama (le aziende che si occupano di mobilità pubblica e raccolta e smaltimento rifiuti). Tutti reclutati per chiamata diretta. Tutti dopo il 2008, anno di insediamento della giunta di centrodestra. Amici, parenti, colleghi: curiosamente le vicende personali di molti di loro portano sempre a qualche esponente del centrodestra capitolino. Al centro delle polemiche finisce persino il caposcorta del sindaco (accusato di aver sistemato un figlio all’Atac e una figlia all’Ama).

L’opposizione grida allo scandalo. Uno scandalo dagli inquietanti risvolti neri. Già, perché tra i nuovi assunti delle società cittadine spuntano con frequenza alcuni nomi legati alla destra extraparlamentare romana di qualche tempo fa. È il caso di Stefano Andrini, in passato vicino ad alcune sigle di estrema destra, nominato amministratore delegato di Ama Servizi Ambientali. Oppure dell’ex Nar Francesco Bianco, finito a lavorare nell’azienda degli autobus capitolini. Nel polverone finisce persino il diplomatico Mario Vattani. L’ex console italiano in Giappone che la Farnesina ha recentemente richiamato in Italia dopo le polemiche nate dalla sua partecipazione a un concerto “fasciorock”. All’inizio del suo mandato in Campidoglio il sindaco lo aveva voluto accanto a sé come consigliere per gli affari internazionali. «Evidentemente – attacca Francesco Rutelli – Alemanno aveva dei debiti affettivi verso i suoi ex camerati. E si è sentito obbligato a onorarli». A criticare quelle scelte, oggi, ci sono anche alcuni esponenti del Pdl. «In alcuni casi il sindaco Alemanno ha scelto manager capaci e preparati – racconta il senatore Stefano De Lillo, un fratello assessore coinvolto nella vicenda parentopoli – In altre situazioni le sue scelte si sono perse nei rivoli dell’appartenenza politica. Senza seguire alcuna logica di curriculum». A pagarne le spese, specie in termini di immagine, è stato tutto il Pdl. «Sono sincero: alcune scelte potevano essere fatte meglio – continua il senatore – Per noi del Popolo della libertà i principali valori di riferimento dovrebbero sempre essere il merito e la capacità».


Una Giunta in continua evoluzione, quella di Gianni Alemanno. Travolto da scandali e da polemiche interne al partito, nel corso del suo mandato il sindaco è stato costretto a cambiare più volte la squadra di governo. Tre rimpasti solo nell’ultimo anno: roba che nemmeno i governi più traballanti della prima Repubblica. È il gennaio 2011 quando, alle prese con la parentopoli capitolina, il sindaco decide di sostituire quattro assessori. Il trenta per cento della giunta. A venire allontanati sono quasi sempre pidiellini esponenti di correnti avversarie. È il caso della responsabile della scuola Laura Marsilio, fedelissima del deputato Fabio Rampelli. Ma anche del titolare dell’ambiente Fabio De Lillo, fratello del senatore Stefano, uno dei volti più noti tra gli ex Forza Italia della città. Per la maggioranza che sostiene il sindaco in Campidoglio è il momento di maggior tensione dal suo insediamento. «Di quelle vicende – racconta oggi il senatore De Lillo – il mio giudizio su Alemanno non può essere positivo. Mi spiace, ma quando ha sostituito i suoi assessori il sindaco non ha tenuto conto di alcuni criteri fondamentali: la fedeltà, la militanza, il consenso».


La scorsa estate – quando i malumori per la nascita dell’Alemanno-bis sembrano essere finalmente rientrati – esplode il caso quote rosa. Stavolta a intervenire è il Tar del Lazio. Il Campidoglio è pieno di uomini. Pena lo scioglimento della giunta, i giudici obbligano il sindaco a rivedere la presenza femminile tra i suoi assessori. Tra le polemiche di almeno mezza città – quella di fede calcistica laziale – Alemanno chiama nella squadra di governo l’ex presidente della Roma Rosella Sensi. Non basta. Poche settimane fa, costretto di nuovo dal Tar, sostituisce l’assessore Alfredo Antoniozzi con un’altra donna: Lucia Funari. «E così siamo arrivati a una situazione paradossale – denuncia ancora De Lillo – di dodici assessori in Giunta, meno della metà sono stati eletti consiglieri con il Pdl». Una vicenda che rischia di penalizzare il partito alle prossime amministrative. Quando con ogni probabilità Gianni Alemanno dovrà vedersela con l’attuale presidente della Provincia di Roma, il Pd Nicola Zingaretti. «Se i cittadini vedono che i propri rappresentanti non vengono confermati – dice De Lillo – finiscono per disinteressarsi alla politica. Non mi stupirei se tra i nostri elettori più di qualcuno decidesse di disertare le urne».


I quattro anni di governo Alemanno sono caratterizzati da un’ossessione. Quella del grande evento sportivo. Ma anche su questo fronte Gianni Alemanno rischia di presentarsi alla prossima campagna elettorale senza troppi successi da sbandierare. Prima il sogno della Formula Uno, poi le Olimpiadi. E ogni volta una bocciatura, con il sindaco costretto a rinunciare a pochi passi dal traguardo. Per questioni spesso politiche. Quasi mai – questo bisogna ammetterlo – legate alla sua diretta responsabilità. La prima infatuazione di Alemanno è per le quattro ruote. Fin dalle prime apparizioni in Campidoglio il sindaco annuncia di voler portare il circo della Formula Uno nella Capitale. Il fantasioso progetto è un circuito cittadino nel quadrante sud della città: tra le larghe strade e i marmi dell’Eur, il quartiere edificato dal fascismo in vista dell’Esposizione Universale del 1943 (mai celebrata a causa della guerra). Ma «Roma formula futuro» fallisce nel giro di tre anni. Più delle lamentele dei residenti della zona – preoccupati dall’inquinamento acustico dell’evento – possono i timori dei politici leghisti. Terrorizzati all’idea di dover rinunciare al Gp di Monza. Davanti al sogno sportivo di Alemanno, il Carroccio fa quadrato. E il sindaco è costretto a capitolare per il bene della coalizione di governo (peraltro nell’autunno 2010 è proprio lui a sancire la pace sull’asse Roma-Padania organizzando un ormai celebre pranzo a base di rigatoni con la pajata insieme al senatùr Umberto Bossi).

Più dolorosa la rinuncia ai giochi olimpici del 2020. Stavolta il sindaco deve arrendersi davvero a un passo dal successo. Pur nato tra mille difficoltà – per mesi Alemanno cerca invano un presidente del comitato organizzatore – il dossier olimpico della Capitale sembra avere ottime possibilità di vittoria. Un po’ per il credito che la Città Eterna vanta con il Cio – la candidatura di Roma è già stata bocciata durante l’amministrazione Rutelli – un po’ per l’assenza di valide alternative. Per una volta il sindaco riesce a mettere d’accordo anche la politica. Seppure tardivo, all’inizio di febbraio arriva anche il sostegno del Parlamento. Ma il destino olimpico di Alemanno è segnato. Stavolta a dire no è il governo. Arrivato da pochi mesi a Palazzo Chigi, il premier Mario Monti si rifiuta di firmare la lettera con le garanzie economiche richieste dal comitato olimpico. D’altronde, lo ripete da tempo, l’Italia ha bisogno di sobrietà. Il tempo delle spese folli è finito. Il sogno olimpico di Alemanno viene sacrificato sull’altare dell’austerity.  

La prima parte del reportage sulla Roma di Alemanno

X