Italia, quando il treno era un mito di progresso

Italia, quando il treno era un mito di progresso

Chi andava in Austria prima dell’avvento dell’euro, probabilmente si ricorderà la banconota da 20 scellini, un taglio di basso valore che quindi circolava in grandi quantità. Vi era effigiato un signore dall’aspetto decisamente ottocentesco, con i baffoni e i lunghi capelli ondulati. Quel signore era nato a Venezia 210 anni fa, per la precisione il 10 gennaio 1802, si chiamava Carlo Ghega ed è stato uno dei più geniali costruttori di ferrovie che la storia abbia conosciuto. Tanto per far capire: è stato il primo a far andare in montagna locomotive a vapore su binari a scartamento ordinario, prima di lui le pendenze venivano affrontate da locomotive trainate da cavalli o a cremagliera e a scartamento ridotto. Il viadotto del Semmering (la sua costruzione più ardita, raffigurata nel retro della banconota) è tutt’oggi utilizzato dalle ferrovie austriache.

Banconota da 20 scellini

Come mai questo veneziano, discendente da una stirpe di ufficiali di marina di probabile origine albanese al servizio della Serenissima, sia completamente dimenticato in Italia (soltanto Trieste gli ha dedicato una strada) è presto detto: tutta la sua carriera si è sviluppata nei decenni in cui Venezia faceva parte dell’impero asburgico: nasce austriaco nel 1802, muore austriaco, e per di più a Vienna, nel 1860. La sua città natale sarebbe stata unita all’Italia solo sei anni più tardi. 

La famiglia Ghega abita a Venezia nella zona dell’Arsenale, a Castello, e non potrebbe essere diversamente vista la sua vocazione marinara. Carlo è uno studente brillantissimo: frequenta il collegio militare di Sant’Anna (lo stesso, tanto per chiarire, dove avrebbe ottenuto i gradi il futuro ammiraglio Wilhelm von Tegetthoff, il trionfatore di Lissa, che infatti dava gli ordini in veneziano) e nel 1818 si iscrive come privatista al secondo anno di corso della facoltà fisico-matematica dell’Università di Padova, dove si laurea, ottenendo anche la lode, l’11 luglio 1819, appena diciassettenne. Entra in quella che si potrebbe definire la direzione dei lavori pubblici dell’imperial-regio governo di Venezia e in questo ruolo si occupa anche della costruzione del tratto bellunese della strada di Alemagna, che tanti ancor oggi percorrono per andare a Cortina d’Ampezzo.

Carlo Ghega

Ma sono le ferrovie ad affascinarlo e nel 1836 entra nella società che si occupa della costruzione di strade ferrate. Va in Belgio e in Inghilterra, dove incontra anche Robert Stephenson, l’inventore della locomotiva a vapore e costruttore della prima ferrovia. Al ritorno realizza tracciati ferroviari in Boemia. Nel 1840 è in Tirolo, dove costruisce la linea tra Trento e Pergine Valsugana e nella Val d’Adige. 

Ma l’Austria per crescere ha bisogno di unire la capitale, Vienna, al suo principale porto, Trieste. L’incarico viene affidato al più brillante ingegnere dell’impero, Carlo Ghega, che nel 1842 va in viaggio di studio negli Stati Uniti. Visita 39 tratte ferroviarie, ma quella che più lo impressione è la Baltimore-Ohio in quanto «la costruzione e l’esercizio di questa offriva le esperienze le più istruttive» in vista dell’ambizioso progetto di una ferrovia alpina: dimostrava infatti che era possibile «rimpiazzare con una costruzione semplice e di poca spesa l’altra più complicata e dispendiosa» in uso in Europa «ed introdurre con successo i locomotori qual forza movente esclusiva anche ove arditi siano i rapporti di inclinazione e di curve».

Francobollo austriaco raffigurante Carlo Ghega

Per andare da Vienna all’Adriatico le strade possibili sono due: una attraverso l’Ungheria, l’altra per le montagne della Stiria. Ma l’Ungheria è una regione poco fedele agli Asburgo, politicamente instabile (infatti insorgerà nel 1848) e quindi ai problemi politici si preferiscono quelli tecnici. Ghega li risolve egregiamente. Il tratto più complicato sono i trenta chilometri del Semmering, scavalcati con sedici viadotti, quindici gallerie, 129 ponti in ferro e pietra, molti chilometri di binari collocati su un terreno con pendenze del 2-2,5%, il percorso quasi tutto in curva, la costruzione di locomotive così potenti da affrontare dislivelli all’epoca ritenuti insuperabili: questi alcuni dei dati più significativi di quello che al tempo viene esaltato quale «grandioso ed imperituro monumento dell’ingegneria» (oggi patrimonio Unesco dell’umanità). Ci lavorano 20 mila operai per sei anni e viene aperto al traffico nel 1854. Il punto più alto è collocato a 896 metri sul livello del mare e la linea è regolarmente usata ancor oggi dalle Öbb, le ferrovie federali austriache. 

Raffigurazione del viadotto del Semmering

Anche in Italia le realizzazioni di Ghega sono utilizzate ancora ai nostri giorni. La tratta del Corso, con l’arrivo a Trieste, è del 1857. La stazione è stata ricostruita in epoca più tarda, ma chiunque vada a Trieste in treni passa sopra il viadotto di Barcola, opera di Ghega, mentre il grandioso viadotto che porta a Opicina e quindi in Slovenia è sempre meno utilizzato dalle Fs (anzi, pare che la stazione di Opicina sia su punto di chiudere). Un altro lunghissimo viadotto su quella linea, a Borovnica, in Slovenia, è stato distrutto durante la seconda guerra mondiale e mai più ricostruito. 

Il viadotto di Barcola a Trieste

L’apice della gloria per Ghega corrisponde con la fine della sua carriera. La ferrovia Vienna-Trieste, voluta dallo Stato e di proprietà statale, viene privatizzata, assieme a molte altre linee. Il talentuoso ingegnere finisce dietro a una scrivania del ministero delle Finanze, in pratica a far niente. Lo mandano in Transilvania, al tempo parte dell’Ungheria asburgica, per studiare il collegamento di quelle tratte ferroviarie con la Romania, ma si ammala e torna a Vienna, dove muore il 14 marzo 1860, forse a causa della tubercolosi che l’aveva colpito, forse suicida.

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