I nostalgici della Prima e della Seconda repubblica si mettano l’anima in pace. Sarà difficile tornare indietro. L’accoppiata Napolitano-Monti ha terremotato non solo il quadro politico ma ha dato una svolta tedesca alla crisi italiana. Il premier marcia come un treno su un progetto di modifiche del Welfare e del mercato del Lavoro che nessun governo prima del suo aveva neppure tentato. Il presidente fa valere la sua potente moral suasion per impedire che prevalgano gli interessi di parte e che la situazione politica si sfarini. Cambia così la geografia del potere con gli uomini più rappresentativi delle istituzioni – il presidente del consiglio chiamato dall’Accademia e il Capo dello stato più carismatico della storia – che costringono partiti e sindacati a trovare un accordo.
Si potrà discutere per anni sull’articolo 18, sta di fatto che sia Monti sia Napolitano considerano questo passaggio costitutivo di una nuova stagione italiana. Monti con le sue sole forze non sarebbe mai riuscito a convincere partiti e sindacati a trovare un’intesa. Napolitano, invece, a meno di sorprese deflagranti dell’ultima ora, può farlo. Ieri e questa mattina il Capo dello Stato ha messo sul tavolo tutta la sua autorità per spingere soprattutto la parte sinistra dello schieramento che appoggia Monti a dare il via libera alle nuove norme che rivoluzioneranno il mercato del lavoro. E lo ha fatto con la solita autonomia di giudizio e di intervento. Le parole e i gesti del giorno di San Giuseppe sono stati chiari.
Ai sindacati e a Confindustria il presidente ha detto che l’accordo va fatto e che nessuno può assumersi la responsabilità di far saltare il tavolo. Al governo ha chiarito che non sarebbe utile né dal Quirinale tollerato un atto di forza unilaterale. A Bersani ha tolto l’impaccio di un redde rationem con la Cgil, fornendogli una sorta di copertura politica e morale. Molti costituzionalisti storceranno la bocca di fronte all’interventismo del Quirinale, ma non c’è alcun articolo della Costituzione che impedisce al capo dello stato di far sentire la sua pressione per salvaguardare l’unità politica del paese in un momento di grande difficoltà e ve n’è più d’uno che lo indica come il massimo tutore dell’unità nazionale. Perché è difficile tornare indietro rispetto a quel che sta accadendo in questi mesi? Perché l’opinione pubblica vede per la prima volta messa in discussione sia l’onnipotenza di partiti e sindacati sia il prevalere di logiche di parte. Il consenso di cui godono Napolitano e Monti, persino in aree sociali che avrebbero motivo di dolersi di alcune iniziative del governo, indica come stiamo entrando in una fase politica in cui le pubbliche virtù prendono il sopravvento sui vizi del particolarismo e dell’egoismo. Napolitano e Monti, due anziani signori che contraddicono il giovanilismo corrente, stanno dando all’Italia l’opportunità di uscire dalla lunga stagione di contrapposizioni muscolari mettendo in primo piano il tema della salvezza del paese.
La novità è che nel passato questa stagione unitaria, nel dopoguerra e negli anni del terrorismo, aveva trovato voci autorevoli della politica che si erano spese per tentare di sdrammatizzare lo scontro, oggi invece questo avviene ad opera di due uomini delle istituzioni. C’è in questo un dato positivo, cioè l’immagine delle istituzioni riabilitate, e un dato allarmante, che accadrà dopo Napolitano e Monti, ci sono personaggi in grado di sostituirli? Se come tutto lascia pensare oggi sarà raggiunto l’accordo sul mercato del lavoro i due splendidi vecchietti della politica italiana dovranno affrontare il passaggio più difficile, quello che giustifica il pressing di queste ore: le misure per il rilancio dell’economia. Il bocconiano dovrà dire quel che intende fare nei mesi che gli restano, e non sono pochi, a disposizione per governare. E il presidente che viene da una cultura produttivistica dovrà far sentire la sua voce con la stessa forza e insistenza perché, fatte le regole, cambi anche il quadro economico sottostante di modo che sia possibile parlare di mercato del lavoro in un paese che rimetta al centro il lavoro.