Si svolge oggi a Firenze il convegno organizzato dagli intellettuali radical che hanno firmato quel Manifesto politico di cui Linkiesta ha ripetutamente parlato. Il dibattito che si è svolto sulle pagine del “Manifesto”, parlo del giornale questa volta, non ci ha aiutati a capire le intenzioni dei promotori dell’iniziativa. Le cronache di oggi invece dicono espressamente che i firmatari dell’appello, un nutrito gruppo di intellettuali di sinistra, intende dar vita a un nuovo soggetto politico.
Probabilmente i firmatari del Manifesto ritengono il momento quanto mai opportuno vista la crisi dei partiti e l’avanzare della proposta grillina. A differenza di questi ultimi i firmatari del documento si dichiarano di sinistra e alcuni di loro hanno animato i dibattiti più accesi degli ultimi anni, sia nell’area di Rifondazione sia nell’area riformista con l’avventura dei girotondi. In comune con Grillo hanno invece una certa cultura anti-sviluppista e l’idea che sia arrivato il momento di affiancare la democrazia delegata con forme di democrazia diretta. Tuttavia, malgrado la vicinanza dell’impianto culturale, le distanze fra loro e Grillo sembrano incolmabili.
Nel manifesto dei professori non c’è alcun cedimento all’antipolitica, almeno finora, e la nascita di un nuovo soggetto politico non viene proposta in nome di un superamento delle categorie di destra e di sinistra ma per ridare slancio a una nuova sinistra. Da lettore attento dei libri di alcuni dei promotori dell’appello non nascondo una curiosità, ma solo una curiosità, verso questa nuova avventura politica. Trovo tuttavia troppo frettolosa la scelta, che alcuni firmatari vorrebbero sostenere, di fondare un nuovo soggetto politico. Messe così le cose non può che nascere un nuovo Pdup, partito di buone referenze intellettuali ma tragicamente minoritario. La tentazione di dar vita a partiti prima di sperimentare la capacità di radicamento, è una antica tradizione minoritaria. Il 68 fu ucciso, non solo ma anche, da tante avanguardie autoproclamate poi finite nella diaspora di gruppi e gruppettini.
Oggi a sinistra ci sono due partiti singolari. C’è quello di Vendola che ha un leader e raccoglie forze di matrice assai diversa. Sel sembra essere entrata in una fase di appannamento, che non dipende solo dai colpi che hanno toccato il suo leader ma anche dal fatto che la voglia di diventare il partito riformista più a sinistra si è arenato di fronte alla scelta di diventare socialdemocratico tout court. Il Pd è quel che è, ha una sua solidità elettorale, sembra sempre sul punto di spaccarsi ma qualcosa lo tiene assieme anche perché il rischio di scissione viene dalla sua destra interna che aspetta la nascita del partito dei moderati.
Comunque la si pensi, sia Sel sia il Pd sono realtà pesanti. Il nuovo soggetto politico potrebbe avere successo se decidesse di incalzarli, non ha molte possibilità se pensa di far loro concorrenza ovvero di sostituirli. La fretta di far nascere un nuovo partito scambia la scontentezza generale verso i partiti come disponibilità ad averne di nuovi. Il Pd dovrebbe tuttavia fare attenzione a quel che si muove alla sua sinistra. Sta crescendo l’area di coloro che predicano la fuoriuscita dall’Europa, che immaginano un default controllato, che criticano tutte le teorie dello sviluppo. Sono temi che possono affascinare una certa sinistra che può trovare in essi la conferma del catastrofismo nell’analisi e dell’anticapitalismo nella proposta. Evitare queste discussioni mi sembra prova di cecità culturale.