Con i Fratelli musulmani muore l’Islam globale

Con i Fratelli musulmani muore l’Islam globale

L’emersione della Fratellanza Musulmana in Egitto inizia a chiarire quale potrebbe essere il modello politico che potrebbe caratterizzare il Medio Oriente nei prossimi decenni. Il gruppo fondamentalista, con il concetto politico che sta introducendo nel paese, potrebbe risolvere il dibattito “arabismo-islamismo” che caratterizza l’universo arabo fin dalla grande rivolta del 1916-18 (quella celebrata dal meraviglioso film di David Lean, Lawrence d’Arabia). Per quanto ci è consentito comprendere, l’islamismo dei Fratelli musulmani sta cercando di adattarsi alle strutture statali nazionali: i sogni di una comunità “pan-islamica” sono passati in secondo piano, per favorire un pragmatismo maggiormente localista.

Questa è la chiave per comprendere l’assetto internazionale con cui i paesi mediterranei si dovranno confrontare nei prossimi anni. L’arabismo è una forma di nazionalismo di derivazione europea, che si è espressa in sistemi di presidenzialismo spiccatamente autoritarii, e ha influenzato anche lo stile di governo nei paesi che sono rimasti alla monarchia (come Giordania e Marocco). Per diversi anni, gli alfieri di questa forma politica hanno coltivato anche sogni di unificazione araba, quel “pan-arabismo” sognato dal presidente egiziano Gamal Abdel Nasser (1954-1970), che portò alla breve “Repubblica Araba Unita” dal 1958 al 1961.

L’islamismo come ideologia politica è in un rapporto di contrasto e affinità con l’arabismo. Per riprendere le parole di Hasan al-Banna (1906-1949), fondatore della stessa Fratellanza Musulmana, «l’Islam è sorto tra gli arabi e ha raggiunto altre nazioni attraverso gli arabi. Il suo libro nobile è in arabo. […] Gli arabi sono i guardiani dell’Islam». Del resto, però, non appena l’arabismo ha iniziato ad affermarsi come forma politica dominante, le critiche da parte degli islamisti sono state feroci. Per i fautori dell’arabismo, i piani nazionali servivano per raggiungere la “modernità”. Per gli islamisti, l’arabismo aveva impedito la formazione dell’ “umma”, la comunità pan-islamica; mentre le “conquiste” degli arabisti erano empie o, al massimo, superficiali. Secondo un noto pensatore islamico, Yusuf al-Qaradawi, gli arabisti erano gli “importatori di soluzioni” occidentali, non adatte alla reale situazione del Medio Oriente.

È difficile che l’arabismo possa tornare ad avere un ruolo importante nella regione. Se nella sua prima incarnazione ha servito gli interessi delle grandi potenze, ma ha rappresentato una tragedia politica, in una sua seconda materializzazione potrebbe diventare una farsa. Eppure, la lezione dell’arabismo non può essere trascurata. Come ricordano molti arabisti, è probabilmente vero che l’umma pan-islamica potrà realizzarsi come soggetto culturale e forse ideologico (una sorta di “Comintern” religioso), ma a livello politico dovrà necessariamente adattarsi alle differenze culturali e linguistiche della regione.

Per questo, i movimenti islamici come la Fratellanza si stanno dividendo in posizioni schiettamente nazionali, adattandosi agli strumenti di amministrazione statale. La formazione di una lega pan-islamista potrebbe avere solo i connotati della dittatura, e non incontrerebbe il sostegno popolare. Rimane da chiedersi se l’idea di governo, oltre che “fondamentalista”, cioè orientata all’espressione dei precetti religiosi nella vita pubblica, possa diventare anche “radicale”, cioè incentrata su una lettura conservatrice dell’Islam. I primi segnali in arrivo dal Cairo fanno pensare di no, anche se si potrebbe trattare solo di tattica elettorale. La fratellanza ha già avviato da mesi il processo di eliminazione dalla guida dei personaggi più massimalisti, ma il leader al-Shater ha lanciato messaggi discordanti, tra aperture internazionali e richiami alla regola islamica, fino al rifiuto di accettare aiuti del Fondo Internazionale, nell’ambito di una situazione economica apocalittica.

Su tutto, come tipico nelle fasi post-rivoluzionarie, trionfa il populismo. C’è la possibilità che tale populismo possa prendere la piega oscura del “nazionalismo religioso”. L’intellettuale neocon Paul Berman è arrivato a sostenere – in un libro del 2010, “The Flight of Intellectuals” – che i Fratelli Musulmani delle origini siano stati influenzati dall’ideologia nazista. Se forse il paragone pare estremo, rimane il concetto di fondo: l’islamismo dei Fratelli è islamismo politico di destra, e rappresenta il nuovo modello di successo (Turchia, Hamas), che prevale rispetto alle “sinistre” mediorientali e islamiche in fallimento (Iran e, per certi versi, la Libia).

È da escludere un governo “alla talebana”, ma i Fratelli devono ancora chiarire a che modello ideologico e politico vogliono riferirsi. Forse, nella lotta di potere interna, non lo sanno neanche loro. Potrebbe prevalere l’ideologia più “facile” da comunicare all’elettorato post-rivoluzionario, e questo è il rischio maggiore.
 

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