Questa non è una notizia, perché non si sa bene quali siano le cause e perché non se ne conoscono ancora le conseguenze, anche legali. Ma è un’istantanea di una degenerazione da interattività che forse farà felice qualche nostalgico del situazionismo.
Accade nella tribuna stampa dell’Olimpico nei minuti finali di Lazio-Napoli che un tifoso laziale esagitato riesca a urlare un insulto nel microfono dei radiocronisti Rai Giulio Delfino e Tonino Raffa. Delfino in diretta prima reagisce col sorriso, poi invoca gli steward che non arrivano «perché sono impegnati a guardare la partita».
Successivamente su Twitter parla di aggressione premeditata, di «parole, gesti, sguardi, minacce», rimprovera l’ufficio stampa della Lazio di averlo liquidato con un laconico «mandame ’na meil», infine chiede il Daspo – cioè la sospensione dagli stadi per tre anni – per l’autore del gesto, Marco Fantauzzi, «amico intimo di un noto radiocronista locale».
Fin qui tutto bene, Delfino ha tutte le ragioni. Ma a qualcuno dei tifosi quel Daspo per una cialtronata urlata in radio sembra un’esagerazione. E su Twitter va in onda per ore uno show a cui Delfino non si sottrae, e che si chiude – momentaneamente – con la sospensione del suo account. Tra le repliche da caserma alla battuta radiofonica e quelle agli insulti tout court, Delfino ne ha per tutti: brutti, burini, idioti, vigliacchi, ignoranti, tutti etichettati con l’hastag #sparutaminoranza. Anche quelli che gli chiedono lumi con gentilezza – «il suo ruolo dovrebbe consigliarle ben altra educazione e terzietà» – vengono messi in lista.
Il cronista, a cui i tifosi rimproverano anche una malcelata simpatia giallorossa («che poi io ho una marea di amici laziali che adoro…»), commenta poi in malo modo un attestato di solidarietà con evidente riferimento al procuratore federale che sta lavorando al calcio sommesse: «So’ poveracci… ma Palazzi incombe», scrive un utente, e lui risponde: «Speriamo… dopo il crollo di Bossi ora bisogna andare avanti!!»
Negli ultimi tweet prima della chiusura del profilo, Delfino racconta di aver denunciato l’“invasore”, colpevole di aver «stuprato il lavoro che amo». Usa toni forti e solenni anche nel promettere ai «23 ignoranti della sparuta minoranza» («il marcio della nostra società, il fallimento di un genitore») la cacciata dagli stadi: «estirperemo la vostra ignoranza e la butteremo nel cesso. Dopodiché riapriremo le porte degli stadi ai bambini. Adios».
Nella foga del tweet è saltata qualsiasi netiquette, sia per i professionisti che hanno un pubblico di milioni di ascoltatori che per quei tifosi convinti che basti l’accesso libero al profilo twitter di un giornalista Rai per giustificare qualsiasi confidenza nei commenti.
A conti fatti però la sortita nel microfono, in quello spazio invisibile sospeso nell’aria che è la radio, conteneva già tutto: lo sberleffo di Fantauzzi e la denuncia di Delfino, che invocava gli steward. La vicinanza virtuale tra tifosi e giornalista ha invece restituito un’altra cosa, degenerando senza limiti. E la faccenda in rete non è ancora chiusa.