Portineria MilanoNelle valli della Lega: «A rovinare Bossi sono stati i terroni»

Nelle valli della Lega: «A rovinare Bossi sono stati i terroni»

In Val Camonica, dove chi si vanta di essere discendente camuno cita in dialetto il Pas del Tunàl, gli anziani ex militanti si sono fatti un’idea su chi ha affondato la Lega Nord di Umberto Bossi: «i terroni che hanno acquistato sempre più potere in via Bellerio». Basta farsi un giro a Ponte di Legno o Edolo. A tre ore di auto da Milano. Zone di montagna dove il Capo una volta andava tutte le estati con la famiglia, tra il Castello e l’Hotel Mirella di Bruno Caparini. Nei bar, nelle piazze o per ristoranti. Per i leghisti della prima ora non è solo il cerchio magico, tra incantesimi e libri di magia nera nella mansarda del quartier generale di Gemonio, il problema del Carroccio. 

Per chi ha creduto nel Bossi degli anni ’80, quello «di prima che arrivasse il tesoriere Alessandro Patelli con la tangente Enimont», quello che andava d’accordo con il professore federalista Gianfranco Miglio e che parlava ancora «dei meridionali a casa loro», la «questione» dentro la Lega degli ultimi anni sono stati loro: i terroni. Ma soprattutto quella voglia del Capo di non spaccare mai con il meridione, di non andare mai allo scontro per dividere in due l’Italia. 

Nella folta schiera meridionale, i leghisti delle origini non inseriscono solo la moglie del Senatùr Manuela Marrone, siciliana, e la «badante» pugliese Rosi Mauro, nata a San Pietro Vernotico in provincia di Brindisi. Certo c’è l’ex tesoriere Francesco Belsito, originario di Pizzo Calabro, e molti non dimenticano Roberto Cota, attuale governatore del Piemonte, figlio di padre nato a San Severo di Foggia. 

Poi Matteo Brigandì, il procuratore della Padania, fatto fuori dal Csm lo scorso anno per un dossier sul pm Ilda Boccassini e nato a Messina il 13 aprile del 1952. «Guardi che sono quelli che sono stati più vicini al Capo in questi anni, si fidava solo di loro….», ricordano. 

Del resto, la giornata del Senatùr si è spesso svolta in questi anni tra il paradosso di definire «terùn» il presidente Giorgio Napolitano e una riunione insieme alla Marrone nella casa di Gemonio. In Bellerio gli uffici più vicini al suo sono quelli di Brigandì e Belsito, con cui ha dovuto confrontarsi in questi anni, per questioni legali o appunto diatribe di cassa. Cota, invece, è sempre stato il «delfino» più ascoltato politicamente, oltre che sull’alleanza con Silvio Berlusconi, anche su frivolezze o gossip di giornata.

In Val Camonica si ricordano come fosse ieri il viaggio che il Trota Renzo Bossi fece a Favara nel marzo del 2001, in Sicilia, per tornare alle origini della famiglia della madre, quando conobbe il cugino Tano Schifano. «Andava nei bar a vantarsi che i suoi parenti di giù erano persone che contavano, cui tutti dovevano portare rispetto», ci spiega un ex leghista bresciano che si domanda come si faccia poi a farsi fotografare con una coppola in testa.

Se chiedi a questi leghisti di poter citare i loro nomi, ribattono di no. «Non ci importa di apparire. Noi credevamo nella Lega, nel progetto che doveva portarci a fare qualcosa di concreto. Andarcene via dall’Italia. Dovevamo fare la secessione. A Bossi lo abbiamo detto tante volte. Umberto pensi al federalismo o ai tuoi interessi? Non ci ha mai risposto. Questo è il risultato».  Eppure sono stati anche parlamentari, responsabili di sezione, segretari. C’erano quando i fondatori della Lega Lombarda, Bossi, Giuseppe Leoni e Bobo Maroni, andavano per le strade di notte a verniciare i muri con la scritta «Padania Libera». Ci hanno messo la faccia. Hanno versato metà dei loro stipendi di parlamentari alla causa. «Ma alle sezioni, non a Bellerio», chiosa uno di loro che già aveva capito come funzionava il meccanismo.

Che a pensarci bene, se tutti quei soldi che Belsito e la Mauro hanno distratto alle casse del Carroccio fossero andati davvero ai militanti «adesso chissà dove saremo». Ricordano gli anni della prima repubblica. «La Democrazia Cristiana avrà avuto pure i fondi neri, ma se c’era da pagare le bollette, gli affitti o i convegni, i soldi li dava: nella Lega neppure questo». C’è amarezza, tanta amarezza in Val Camonica.

Da queste parti un tempo il Carroccio faceva la parte del leone, adesso è ridotto al lumicino. Bossi jr eletto in questa zona si è dimesso dal consiglio regionale dopo essere stato travolto dalle indagini su Belsito. Monica Rizzi, ex assessore regionale, ha fatto la stessa fine. Ma poi ci sono le polemiche infinite sul presidente della provincia Daniele Molgora che non ha voluto rinunciare al doppio incarico di parlamentare. Quasi come il senatore Vincenzo Nespoli, che è senatore del Popolo della Libertà e ancora sindaco di Afragola in provincia di Napoli, profondo meridione.

Pensare che durante la presentazione del libro di Reguzzoni, Gente del Nord, a Milano il direttore del Giornale Vittorio Feltri accusò Silvio Berlusconi di essersi circondato solo «di terroni». Da Apicella a Maria Rosaria Rossi, fino a Valter Lavitola o Giampaolo Tarantini. Qualche leghista apprezzò la battuta, ma su in Val Camonica e in altre valli c’è chi invita a ricordarsi dei propri di «terroni».   

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