Violazione del finanziamento pubblico dei partiti, appropriazione indebita, truffa ai danni dello Stato. E riciclaggio di denaro sporco, a prefigurare presunti rapporti con imprenditori legati alla ‘ndrangheta. Tutto per procurare benefici economici alla famiglia e all’entourage di Umberto Bossi. Le gravissime ipotesi accusatorie su cui quattro procure italiane stanno lavorando nell’indagine sull’operato del tesoriere del Carroccio, Francesco Belsito, rappresentano l’ultimo e più clamoroso capitolo di una lunga serie di attività investigative e di scandali che coinvolgono il più antico movimento politico presente in Parlamento. Un partito nato sull’onda dell’indignazione contro lo Stato invadente e assistenziale, la partitocrazia corrotta e soffocante, il fisco oppressivo, per promuovere le rivendicazioni di autonomia e di libertà del Nord.
Una formazione che vent’anni dopo il suo trionfale ingresso nelle istituzioni di “Roma ladrona” sembra avere subito una metamorfosi integrale. Adesso più che mai le “camice verdi” appaiono organiche e integrate nelle ramificazioni del potere contro cui nel 1993 erano arrivate a sventolare il cappio a Montecitorio. L’omologazione alle altre forze politiche è dunque il punto di approdo della parabola della Lega? È questo lo sbocco finale dell’esperienza di un gruppo in grado di affermare nel dibattito e nell’agenda pubblica parole come federalismo, indipendenza, secessione, Padania? La riflessione di politici e intellettuali che hanno vissuto in fasi e forme diverse la storia del Carroccio oscilla fra il disincanto e il pessimismo radicale da una parte e la fiducia nella rigenerazione del movimento e del suo messaggio originario dall’altra. Speranza alimentata dalla prospettiva dell’avvento dei “Barbari sognanti” di Roberto Maroni e Flavio Tosi alla guida dei lumbard.
L’inchiesta in corso non provoca eccessivo stupore in Giancarlo Pagliarini, esponente di spicco della Lega dei primi anni Novanta e interprete delle sue istanze liberiste e antistataliste fino al suo abbandono nel 2007. All’origine della degenerazione che ha colpito il Carroccio l’ex responsabile del bilancio del primo governo Berlusconi individua “la mole impressionante di risorse finanziarie frutto dei rimborsi elettorali pubblici”. Un flusso di denaro che nel 2005 aveva portato a quasi 10 milioni di euro la liquidità disponibile nelle casse di Via Bellerio. Ricchezza non utilizzata per le iniziative politiche e culturali sul territorio, come denunciato da Pagliarini già nel 2006. «Molti militanti chiedevano cosa facessimo di quei fondi, e quale fosse la reale situazione patrimoniale del partito e delle società ad esso collegate. E molti ci domandavano di individuare i responsabili del crack della banca leghista CredieuroNord, e di restituire ai suoi azionisti le somme perdute per gli investimenti poco trasparenti compiuti dal gruppo dirigente».
Per il futuro del Carroccio, Pagliarini non vede alternative a Maroni «il quale però sapeva le cose che sapevo io ma da vero politico ha deciso di restare in un partito divenuto simile agli altri». All’ex delfino del Senatùr l’economista indica l’unico orizzonte possibile perché la Lega abbia una ragione d’essere: «Anziché entrare nella logica delle alleanze per la gestione del potere, il partito deve tornare a incarnare il sogno di una rivoluzione culturale, economica, istituzionale. La Lega della riforma costituzionale federalista prefigurata da Gianfranco Miglio, dei referendum di tipo catalano o scozzese per l’autogoverno dei cittadini e dei territori».
La riflessione di Pagliarini non trova rispondenza nelle parole di Marco Formentini, storico sindaco leghista di Milano oggi tornato a militare nel Carroccio dopo dieci anni di assenza. Un riavvicinamento motivato «dall’abbandono da parte del governo Monti di una riforma federalista più valida che mai e dalla fiducia nella capacità innovatrice e di leadership di Roberto Maroni». Formentini, sorpreso dalle inchieste giudiziarie su Belsito, sottolinea che «episodi anomali sono accaduti e continuano a verificarsi, anche alla luce delle avvisaglie del recente passato». Ragione per cui «bisogna isolare e colpire i responsabili delle illegalità evitando di gridare al complotto».
Ma l’ex primo cittadino milanese non vede nessuna metamorfosi del Carroccio né analogie con i partiti di “Roma ladrona”: «Ascoltando Radio Padania avverto nei militanti una reazione di rivolta, non di assuefazione. E sento speranza in un profondo cambiamento del gruppo dirigente. Quello attuale non può negare la propria responsabilità politica su quanto accaduto, anche solo per la conoscenza delle iniziative assunte dal tesoriere». Su chi puntare allora per rilanciare il movimento e le sue ragioni costitutive? Formentini è categorico: «È ora che Maroni accentui il suo smarcamento dalla dirigenza, pretenda giustizia e chiarezza sull’intera vicenda, e decida di mettersi alla guida del partito. Glielo chiedono in molti, e sono sicuro che questa speranza si traduca in realtà».
A rappresentare un quadro disarmante del movimento lumbard è invece Leonardo Facco, scrittore e divulgatore del federalismo libertario, autore del libro “Umberto Magno”. Indipendentista da sempre, Facco non prova stupore per le indagini in corso, «ennesima tappa di una deriva affaristica che viene da lontano». Un filo conduttore che per il giornalista ha le sue radici nello scandalo che coinvolse il primo tesoriere della Lega, Alessandro Patelli, finito nella bufera di Mani Pulite per il contributo illecito di 200 milioni di lire versato al partito dalla Montedison. E che, attraverso Maurizio Balocchi, suo successore alla segreteria amministrativa e fra gli architetti della attuale legge sui rimborsi elettorali, è arrivato a Francesco Belsito. Con un denominatore comune: Umberto Bossi, «senza il quale nulla nel movimento si è mai mosso, sempre decisivo per l’ascesa e la carriera dei suoi principali rappresentanti». A partire da Roberto Calderoli, che «sa come funzionavano le cose nel partito», e da Maroni, «che invocando le dimissioni di Belsito chiede di fatto la testa del Senatùr».
È qui il cuore politico della vicenda: «l’affondo dell’ex ministro dell’Interno che aspira ad assumere la guida del Carroccio, ma che non può rivendicare una verginità rispetto alle scelte strategiche del gruppo dirigente, in primo luogo l’appoggio deciso in una notte all’ex Governatore di Bankitalia Antonio Fazio nei giorni della scalata di Giampiero Fiorani ad Antonveneta o all’epoca degli investimenti della CredieuroNord». Ma ora la caduta del tesoriere rischia di travolgere l’entourage di Bossi. Ecco perché, rimarca l’editore, «un numero crescente di parlamentari e rappresentanti locali cerca di favorire il passaggio della stessa macchina di potere al gruppo dei maroniani, per perpetuarne l’esistenza e la gestione». Un ricambio apparente, per offrire ai militanti l’immagine di una Lega ripulita e continuare a dividersi e distribuire il potere. Fenomeno che Facco illustra attraverso un paragone impietoso: «Assistiamo nel Carroccio a una nemesi storica, al rovesciamento della parabola del Partito socialista, con un capo indiscusso travolto dagli scandali e un suo delfino, in quel caso Claudio Martelli, che fa finta di sganciarsi». Con due aggravanti: «L’inganno prolungato perpetrato nei confronti della base e la profonda ignoranza degli esponenti leghisti». È destinata a concludersi così l’esperienza delle “camice verdi”? L’editore non ha dubbi: «Per rilanciare il federalismo autonomistico e l’indipendentismo del lombardo-veneto è doveroso porre fine alla parabola arci-italiana della Lega Nord, principale erede dell’assetto di potere degli anni Ottanta».
Radicalmente differente è la convinzione espressa da Attilio Fontana, primo cittadino di Varese e personalità vicinissima a Maroni. Ricordando che i capi di imputazione devono trovare giustificazione probatoria e che per ora restano ipotesi accusatorie, Fontana si dichiara certo della bontà sostanziale di una realtà ricca di anticorpi adeguati per individuare e respingere il malaffare. «La Lega resta un partito sano e serio, di persone appassionate e oneste», osserva il sindaco della città lombarda. Il quale invoca «comportamenti rigorosi e coerenti se venissero scoperte le prove di atti illeciti», e si rivolge a militanti del Carroccio, «gli unici che potranno recuperare e riproporre in modo spontaneo il nostro messaggio originario. Sono loro, non le élite, la forza di cambiamento su cui contare».