Vent’anni fa se ne andava Isaac Asimov

Vent’anni fa se ne andava Isaac Asimov

Le tre leggi della robotica

1. Un robot non può recar danno a un essere umano né può permettere che, a causa del proprio mancato intervento, un essere umano riceva danno.

2. Un robot deve obbedire agli ordini impartiti dagli esseri umani, purché tali ordini non contravvengano alla Prima Legge.

3. Un robot deve proteggere la propria esistenza, purché questa autodifesa non contrasti con la Prima e con la Seconda Legge.

Manuale di Robotica
56esima Edizione – 2058 d.c.

Introduzione

Avevo riletto i miei appunti e non ne ero soddisfatto. Avevo trascorso tre giorni alla U.S. Robots, ma avrei ottenuto lo stesso risultato se fossi rimasto a casa a consultare l’Enciclopedia Terrestre. Susan Calvin era nata nel 1982 e quindi aveva settantacinque anni. Questo lo sapevano tutti. Per una coincidenza quasi simbolica, la U.S. Robots & Mechanical Men Corp., era stata fondata esattamente settantacinque anni prima: proprio nell’anno in cui era nata Susan Calvin, Lawrence Robertson aveva fondato quello che doveva diventare il più straordinario colosso industriale della storia dell’umanità. E anche questo lo sapevano tutti. A vent’anni, Susan Calvin seguì il corso di psicomatematica durante il quale il dottor Alfred Lanning della U.S. Robots presentò il primo robot mobile dotato di voce. Era un robot brutto, goffo, ingombrante, puzzava di olio da macchina ed era destinato alle miniere di Mercurio: ma era in grado di parlare e di ragionare. Susan non prese parte alle frenetiche discussioni che caratterizzarono quel periodo. Era una ragazza fredda, incolore e insignificante e si difendeva da un mondo che non le piaceva barricandosi dietro una maschera impassibile e una ipertrofia di intelletto. Ma, mentre osservava e ascoltava, sentiva fremere dentro di sé gli stimoli di un gelido entusiasmo. Nel 2003 Susan Calvin si laureò all’Università di Columbia e cominciò le sue ricerche di cibernetica. Tutto ciò che era stato realizzato verso la metà del ventesimo secolo in fatto di macchine calcolatrici era stato rivoluzionato da Robertson e dai suoi schemi cerebrali positronici. Miglia e miglia di relais e di cellule fotoelettriche avevano ceduto il posto a un globo spugnoso di platiniridio delle dimensioni di un cervello umano. Susan Calvin imparò a calcolare i parametri necessari per fissare le possibili variabili nel cervello positronico e a progettare “cervelli” le cui reazioni a determinati stimoli potevano venire previste con estrema esattezza. Nel 2008 Susan Calvin ottenne il Ph. D. ed entrò a far parte della U.S. Robots come specialista di psicologia dei robot. A quei tempi Lawrence Robertson era ancora presidente della società e Alfred Lanning era diventato direttore delle Ricerche. Per cinquant’anni, Susan Calvin aveva seguito da vicino il nuovo corso del progresso umano. E adesso stava per ritirarsi… per quanto le era possibile. Per lo meno, avrebbe permesso a qualcun altro di apporre il proprio nome sulla porta dell’ufficio che era stato il suo. Questi erano i dati di cui disponevo; c’era un lungo elenco delle sue opere scientifiche e dei brevetti registrati a suo nome; c’era la cronologia delle sue promozioni. Conoscevo tutti i particolari della sua attività professionale. Ma non era questo che mi interessava. Per gli articoli che dovevo scrivere per la Interplanetary Press mi occorreva ben altro. E glielo dissi. “Dottoressa Calvin,” feci, sforzandomi di essere convincente, “nell’opinione pubblica lei si identifica con la U.S. Robots. Il suo ritiro segnerà la fine di un epoca e…”

“E lei vuole qualche notizia di interesse umano?” Non mi sorrise. Probabilmente non sorrideva mai.

L’espressione dei suoi occhi era dura, anche se non malevola. Sentii il suo sguardo attraversarmi e mi resi conto che per lei ero trasparente: lo erano tutti, del resto. “Precisamente,” dichiarai. “Vuole trovare elementi di interesse umano nei robot? È una contraddizione in termini.”

“Non nei robot, dottoressa. In lei.”

“Bene, molti mi hanno definita un robot. Senza dubbio hanno detto anche a lei che io non sono umana.” Me lo avevano detto, infatti, ma non era il caso di ammetterlo proprio davanti a lei. Susan Calvin si alzò. Non era alta e sembrava addirittura fragile. La seguii quando si avvicinò alla finestra. Guardammo fuori.

Gli uffici e le fabbriche della U.S. Robots costituivano una vera e propria cittadina, spaziosa e pianificata secondo un preciso piano regolatore. E sembrava piatta come una fotografia scattata da un aereo.

“Quando venni a lavorare qui,” disse Susan Calvin, “avevo un ufficetto in un edificio che sorgeva dove adesso c’è il deposito dell’attrezzatura antincendio… fu abbattuto prima che lei nascesse. Dividevo quell’ufficio con altre tre persone e avevo a mia disposizione mezza scrivania. Tutta la nostra fabbrica consisteva in quell’unico edificio. Producevamo tre robot alla settimana. E adesso…”

“Mezzo secolo è un periodo molto lungo,” commentai. “Non mi sembra tanto lungo, quando ci penso,” disse lei. “Mi sembra che sia passato così in fretta.” Ritornò alla scrivania, sedette di nuovo. Non aveva bisogno di modificare la sua espressione abituale per sembrare triste. “Quanti anni ha?” mi chiese.

“Trentadue.”

“Allora lei non può ricordare com’era il mondo senza i robot. C’è stato un tempo in cui l’umanità era sola di fronte all’universo: sola e senza amici. Adesso ha queste creature che l’aiutano: creature più forti, più fedeli, più utili degli esseri umani… creature assolutamente devote. L’umanità non è più sola. Ha mai pensato a tutto questo?”

“Temo proprio di no. Posso citare questa sua dichiarazione nei miei articoli?”

“Certo. Per lei, un robot è un robot. Metallo e ingranaggi, elettricità e positroni. Un cervello e una massa di ferro. Una creazione degli uomini che gli uomini possono distruggere, se necessario. Ma lei non ha mai lavorato con i robot e quindi non può conoscerli. Sono una razza migliore di noi, più pulita.” Cercai di pungolarla con garbo, per indurla a parlare. “Mi piacerebbe sentirle raccontare qualche episodio, conoscere le sue opinioni sui robot. La Interplanetary Press raggiunge tutti i pianeti del Sistema Solare e ha un pubblico potenziale di tre miliardi di lettori, dottoressa Calvin. Sarebbe giusto far conoscere a questo pubblico ciò che lei può dire dei robot.” Non fu necessario insistere. Non mi aveva nemmeno ascoltato, ma ormai era lanciata proprio nella direzione che mi interessava. “Il pubblico avrebbe potuto saperlo fin dal principio. Allora vendevamo robot che potevano venire utilizzati soltanto sulla Terra… anzi, li vendevano ancora prima che io cominciassi a occuparmene. Più tardi i robot divennero piu umani e subito cominciarono le prime ostilità. I sindacati, naturalmente, sostennero che i robot rappresentavano una temibile concorrenza per la manodopera umana; varie sette religiose opposero argomentazioni dettate dalla superstizione. Fu un’opposizione ridicola e inutile… ma non per questo fu meno accanita.”

Io stavo incidendo le sue parole su un registratore tascabile, sperando che non se ne accorgesse. Con un po’ di esperienza si può imparare a manovrare un registratore di quel tipo senza nemmeno toglierlo dalla tasca.

“Prenda il caso di Robbie,” disse Susan Calvin. “Io non l’ho mai conosciuto. Fu smantellato un anno prima che io prendessi servizio presso la U.S. Robots. Ormai era un modello antiquato. Ma ho visto la bambina, al museo… Si interruppe, ma io non ne approfittai per intervenire. Gli occhi di Susan Calvin erano lievemente appannati, la sua mente stava spaziando nel passato: un passato lungo molti, molti anni. “Ne ho sentito parlare più tardi e tutte le volte che venivamo accusati di essere blasfemi creatori di demoni, io pensavo a Robbie. Era un robot privo di parola, costruito e venduto nel 1996. Non si era ancora arrivati alla specializzazione assoluta e così Robbie fu venduto come governante.”

“Come ha detto?”

“Come governante…”