Da Coluche a Grillo, quando il buffone va in politica

Da Coluche a Grillo, quando il buffone va in politica

Coluche, nome d’arte di Michel Gérard Joseph Colucci (Parigi, 1944 – Opio, 1986)

«Mi rivolgo a quelli che hanno votato trent’anni a sinistra per niente. Perché, purtroppo, la sinistra non ha fatto nulla. Sono uno di quelli che avevano riposto molte speranze nella sinistra… Parlo anche a coloro che hanno votato la destra trent’anni per niente. Mi sapete citare una promessa mantenuta? Per trent’anni hanno votato per persone competenti e intelligenti che li prendevano per imbecilli. Oggi io propongo loro di votare per un imbecille. Per me. Di solito, votavano per niente. Scegliendo Coluche voteranno per uno che non è niente, se non un astensionista di professione». Fu annunciata così, il 30 ottobre del 1980, la candidatura di Coluche (Michel Gérard Joseph Colucci, comico francese nato da un padre del frusinate) alle presidenziali di Francia del 1981. Allora era il buffone più famoso e amato di Francia e per ascoltare questo messaggio i giornalisti gremirono il Théâtre du Gymnase di Parigi. Poi, alcuni non scrissero niente. Iniziava un certo boicottaggio dei media. Il giorno dopo tennero brevi cronache della cosa Libération, Le Monde e Le Matin. I lettori del conservatore Le Figaro dovettero attendere fino al 18 novembre per qualche riga sulla candidatura, quelli del comunista L’Humanite un giorno in più. Coluche faceva da tempo battute nei suoi spettacoli sulla volontà di presentarsi alle “elezioni pestilenziali”, come le chiamava. E già una volta, a Le Monde, aveva detto di volersi presentare come candidat nul, per portare al voto gli astensionisti di ferro e avendo come sua maggiore forza la certezza di non essere eletto. Ma dopo l’annuncio al Théâtre du Gymnase le cose iniziano a farsi serie. Gérard Nicoud, segretario del Cid-Unati, il sindacato dei piccoli commercianti e degli artigiani, annunciò il suo sostegno al comico:«Visto che la politica è ridicola, votiamo Coluche! Almeno lui è bravo davvero a far ridere».

In quel 1980 Valéry Giscard d’Estaing stava vivendo una fine mandato difficile. Il numero di disoccupati aveva sorpassato la quota psicologica del milione e mezzo. L’inflazione balzava oltre il 13%. Gli scioperi non si contavano. E il presidente, intanto, era travolto dallo scandalo dei diamanti ricevuti dal dittattore centrafricano Bokassa (autoproclamatosi Imperatore) e rivenduti. Proprio sull’affaire dei diamanti basava i suoi tormentoni Coluche, su Radio Monte Carlo. Il successo di audience era incredibile, ma dopo poche puntate venne fatto fuori, per intervento diretto del principe, azionista di maggioranza della radio monegasca. Fu quella la molla a farlo decidere per la candidatura, spinto dall’amico cineasta Romain Goupil. In fondo bastavano solo 500 firme. In compenso, come candidato avrebbe avuto diritto di tribuna. Avrebbe potuto dire quello che come comico avevano iniziato a censurargli. Ma si sbagliava. Fu proprio con la candidatura che iniziarono le pressioni più forti: telefonate anonime, minacce di morte, pedinamenti. E poi l’uccisione del suo braccio destro, René Gorlin. Ufficialmente si trattò di un movente passionale. Ma i cospirazionisti hanno ancora di che nutrire le loro convinzioni. Così come per la morte dello stesso Coluche, vittima cinque anni dopo di un drammatico incidente di moto (fu travolto da un camion). In ogni caso, complotto o no, la politica francese non reagì con aplomb al primo candidato anti-sistema. Il 25 novembre, appena si capì che la candidatura era uno scherzo da prendere sul serio, fu chiesta l’apertura di un’indagine segreta ai suoi danni. Il timbro porta la data del 12 dicembre. E il documento top secret è archiviato col numero 817 706. Si trattava di un dossier completo su Coluche, la sua famiglia e le persone a lui più vicine, per trovare elementi per screditarlo. Veniva ad esempio ricordato che, da militare, «per colpa del suo carattere contestatario e refrattario alla disciplina, aveva rivolto gravi offese ai superiori e alcuni atti di insubordinazione gli erano costati 52 giorni di cella».

Fu su Charlie Hebdo, settimanale satirico, che Coluche presentò il suo manifesto: «Mi appello agli sfaccendati, agli zozzoni, ai drogati, agli alcolizzati, ai froci, alle donne, ai parassiti, ai giovani, ai vecchi, agli artisti, agli avanzi di galera, alle lesbiche, ai garzoni, ai neri, ai pedoni, agli arabi, ai francesi, ai capelluti, ai buffoni, ai travestiti, ai vecchi comunisti, agli astensionisti convinti, a tutti quelli che non credono più nei politici, affinché votino per me, si iscrivano presso il loro municipio e propagandino la novità. TUTTI INSIEME PER FOTTERLI IN CULO CON COLUCHE, il solo candidato che non ha motivo di mentire». Parole che il sociologo Pierre Bourdieu non ebbe remore a definire le più importanti per la Francia dalla Dichiarazione dei diritti dell’uomo e del cittadino del 1789. Anche altri importanti intellettuali, tra cui lo psicanalista Félix Guattari, il sociologo Alain Touraine e il filosofo Gilles Deleuze, si dissero a favore di Coluche e  il 13 novembre firmarono su Les nouvelles littéraires una petizione a suo favore. Il comico mantenne le distanze e a chi gli domandò cosa pensasse di quell’appoggio rispose, scettico e scontroso: «Quelli sono dei malati». Coniando uno slogan dopo l’altro (uno dei più ricorrenti: «Prima di me la Francia era divisa in due, con me sarà piegata in quattro dal ridere») la campagna elettorale proseguì con crescente successo. La copertina di un altro giornale satirico, Hara Kiri, fece molto discutere. Rappresentava Coluche sul cesso, con una legione d’onore a coprirgli l’organo genitale e con la bandiera francese trasformata in un tricolore «bianco, blu e merda». La vera rovina di Coluche furono i sondaggi. A sorpresa cominciarono a darlo al 15-16% e i politici si spaventarono sul serio. Visto che tra i suoi collaboratori c’erano due vecchi trozkisti, la polizia politica e i servizi segreti iniziarono a ipotizzare un complotto rosso, un’azione comunista di destabilizzazione. Non era vero. Anzi, il partito comunista francese fu molto spaventato dal fenomeno Coluche. Come ha raccontato Pierre Juquin, portavoce del Pcf dal 1979 all’84, il candidato Georges Marchais commissionò un sondaggio nella classe operaia. Il risultato fu choccante: gli operai gli preferivano Coluche. Marchais (che alle presidenziali avrebbe preso il 15,4%) fu così scosso che decise di non rendere noti i risultati nemmeno all’ufficio politico ristretto. Per la prima volta si rese conto che il messaggio politico del partito non era più giudicato credibile da buona parte della potenziale base. 

Pierre Bourdieu stigmatizzò il comportamento dei politici che accusavano di irresponsabilità i profani che volevano occuparsi di politica, mal sopportando ogni intrusione nel loro cerchio sacro. Ma tra pressioni e minacce, ai primi d’aprile del 1981, Coluche convocò una seconda conferenza stampa per annunciare che si ritirava dalla campagna elettorale (non aveva nemmeno raccolto le 500 firme e poi dette il suo appoggio al socialista François Mitterrand, che vinse). «Non sono più candidato», disse. «Volevo dare una rimescolata alla merda della politica, ma ora non sopporto più l’odore. Ho voluto divertire me stesso e gli altri in un periodo di così grande tristezza e gravità.  La gente sarà delusa. E anch’io lo sono. Mi fermo perché non posso andare oltre. Signori politici di mestiere, ho messo il naso nel vostro buco di culo, non ho più interesse a lasciarvelo lì. Divertitevi senza di me».

Coluche in una delle pose più celebri (foto: Pierre Guillaud/Afp)

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