Flop di Facebook: così le banche hanno buttato l’ultima chance

Flop di Facebook: così le banche hanno buttato l’ultima chance

Chiedo perdono per il libero uso dell’aggettivazione, ma l’esperienza dell’entrata in borsa di Facebook mi spinge a credere che i banchieri d’affari siano stupidi. L’IPO di Facebook era un’occasione enorme, unica e meravigliosa perché potessero ripulire un po’ la loro immagine. Dopo tutto, si trattava del sito internet più rivoluzionario degli ultimi quattordici anni (Google è del 1998) che poteva essere comprato. Le banche avrebbero potuto sfruttare l’iniezione di marketing del consentire alle famigliole l’acquisto di azioni con il logo blu. La popolarità del sito è enorme: tutti nella famigliola – dai bimbi al nonno – allegramente perdono ore di vita scrivendo scemenze sui loro profili.

E cosa hanno fatto le banche? Hanno preferito incasinare il tutto. Hanno cercato di far soldi sui bimbi e sul nonno. Il prezzo scelto per le azioni era troppo alto: è crollato sotto i 30 dollari, dopo una richiesta iniziale di 38. Alcuni investitori hanno anche denunciato Morgan Stanley (la banca Deus-ex-Casino) e Facebook per aver «trattenuto informazioni negative», che avrebbero potuto esercitare un effetto nefasto sul presso delle azioni. Il papà dei bimbi ha perso un sacco di soldi e adesso deve beccarsi anche gli insulti di nonno, che lo accusa di essere uno sperperatore.

Potremmo difendere papà, sostenendo che non è lui il cattivo – ruolo che riserviamo a Morgan Stanley–. Sembra che anche il CFO di Facebook si sia comportato a livello dei banchieri: David Ebersman ha avuto l’idea brillante di aumentare la quota di azioni per i piccoli investitori solo pochi giorni prima dell’ingresso in borsa, creando le condizioni per una bella picchiata del prezzo dopo il suono della campana. È interessante osservare come nessun partner bancario gli abbia suggerito una strategia alternativa e più conservatrice – anche se, ci verrebbe da pensare, questo sembrerebbe essere il ruolo delle banche–.

I banchieri non dovrebbero fare troppo gli schizzinosi nei confronti del marketing. In fondo, è qualcosa di molto simile alla finanza: entrambi i settori costituiscono ‘funzioni accessorie’ rispetto alla produzione manifatturiera e all’erogazione di servizi finali. La finanza cerca soldi per produrre cose, mentre il marketing fa in modo che qualcuno paghi per le cose che sono state prodotte. La differenza, dobbiamo osservare, è solo nella remunerazione: i banchieri ricevono stipendi considerevolmente superiori rispetto ai loro omologhi del marketing – anche se ultimamente, da buoni nobili decaduti e ancora ricchissimi, i banchieri piangono miseria–.

Ma non fraintendiamo: non stiamo qui per privare i poveri banchieri dei milioni meritatamente guadagnati attraverso la sacra pratica di inserire numeri nelle tabelle di excel. Però, c’è l’impressione che l’eccessiva esposizione agli schermi di pc li abbia un po’ distratti dalla realtà, oltre le loro lucide finestre dei palazzi nei più bei quartieri della città. Quella gente nel parco non è un raduno di appassionati di barbecue, e non si tratta di viaggiatori interrailer senza letto in ostello: è gente che con i banchieri ce l’ha a morte, ed è gente che usa Facebook. Se i banchieri volevano dar loro altre argomentazioni per criticare l’ ‘utilità sociale’ delle banche, ci sono riusciti.

Il flop di Facebook, che già si è beccato un downgrade, non è il primo caso di malagestio nel mondo IT. Uno studio legale, recentemente intervistato da Reuters, sostiene di aver seguito circa 300 cause nel settore durante gli anni della bolla IT. Anche in quei casi, il problema era spesso la manipolazione di informazioni importanti. Ma gli errori di allora si sono sviluppati in un periodo in cui l’oggetto della protesta, più che dalle banche d’affari, era rappresentato dalla Banca Mondiale e dal Fondo Monetario Internazionale. Il piccolo gioco dell’avidità versione 2012 ha come scenario un mondo molto diverso, e lo snobismo verso il marketing si farà pagare a caro prezzo.

Si è parlato tanto, nei giorni precedenti l’IPO, del fatto se Mark Zuckerberg fosse in grado o meno di gestire un’azienda quotata. Alcuni sostenevano che il miliardario affetto da trasandatezza compulsiva non abbia mai «affrontato un fallimento». Il peggio che ha passato è stato dover elargire qualche milioncino a due enormi campioni di canottaggio, che lo hanno accusato di avergli rubato l’idea. Stavolta sembra che Zuckerberg abbia commesso un errore nuovo: si è scelto male i partner. Sicuramente inizierà un repulisti, passata la corrente di rimborsi e rimbrotti legali. Poi, assisteremo a un nuovo capitolo del fantastiliardico romanzo di formazione di un ragazzo geniale e discreto. Insomma, adesso vedremo se Zuckerberg è in grado di ‘affrontare una crisi’. Certo, le banche non lo hanno aiutato.

Articolo pubblicato originariamente in inglese sul giornale online tedesco The European
 

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