Quest’anno è stata annullata: la scaramanzia di Manuela Marrone, moglie dell’ex leader della Lega Nord Umberto Bossi, ha portato a più miti consigli. Perché quel banchetto del 5 gennaio del 2011, definito dai quotidiani come la «cena degli ossi», lassù a Calalzo di Cadore, Belluno, Hotel Ferrovia, ha portato una sfortuna Nera (non nel senso di Rosi Mauro ndr) a tutti i partecipanti. Spolparono il maiale e sono rimasti spolpati. E pensare che il Senatùr all’epoca la vedeva diversamente: «Vengo sempre da queste parti, perché mi porta fortuna». È accaduto l’opposto. Ci aveva visto bene – con tanto di occhiali rossi – Roberto Maroni che ha sempre evitato questo tipo di banchetti.
Volevano cambiare l’Italia. Erano quelli dell’Asse del Nord, architrave su cui per quasi 12 anni si è poggiato il tessuto economico politico del settentrione. Facevano la voce grossa. Dicevano di avere in pugno il governo di Silvio Berlusconi. Sognavano la Padania, autonoma dal punto di vista politico, economico e finanziario. Discutevano sul valzer di nomine nelle grandi aziende statali, come Finmeccanica, Ansaldo o Agusta Westland. Sognavano le presidenze delle grandi fondazioni bancarie del settentrione, come la Fondazione Cariplo di Giuseppe Guzzetti. Ora, invece, sono (quasi) tutti finiti politicamente. C’è chi è persino agli arresti domiciliari. O chi si è beccato un avviso di garanzia.
In ordine di tempo, l’ultimo a essere colpito dalla maledizione è stato l’ex presidente della Banca Popolare di Milano Massimo Ponzellini, arrestato questa mattina per associazione a delinquere con i reati di appropriazione indebita, l’emissione di fatture false e riciclaggio. Il banchiere «leghista», ex prodiano di ferro, («L’abbiamo messo noi lì in Bpm» disse l’Umberto spavaldo l’anno scorso con sigaro tra i denti), doveva essere il fiore all’occhiello del radicamento padano nei territori del nord. Diventa adesso una nuova grana, perchè i magistrati cercheranno sicuramente dei collegamenti con le inchieste già avviate sul Tanzaniagate: si parla sempre di riciclaggio.
Ha portato davvero sfortuna spolpare il maiale a Calalzo di Cadore. La «gastronomia politica» (copyright Filippo Ceccarelli) non paga. Torniamo all’ex Capo del Carroccio. Il Senatùr ha perso il movimento. La sua creatura gli è stata sfilata via dalle mani. La famiglia è stata travolta dalle inchieste. Si mormora che pianga spesso. E che ora stia cercando di ritagliarsi un ruolo in via Bellerio, trattando con il nuovo leader in pectore Maroni su un «vitalizio» per lui e la sua famiglia: peggio di così non poteva proprio andare.
Poi c’è Giulio Tremonti, il super ministro dell’Economia, scomparso dopo aver scritto il libro «Uscita di sicurezza», tra un nuovo socialismo europeo e il tifo per Hollande in Francia. Che quella cena gli avesse portato sfortuna se n’era probabilmente accorto l’anno scorso, quando partì un’altra indagine sul suo braccio destro Marco Milanese. La fortuna è cieca ma la sfiga si vede benissimo, verrebbe da dire. Perché caso vuole che lo stesso ex sottosegretario all’Economia sia indagato nell’inchiesta che ha portato oggi all’arresto di Ponzellini. Cena, maledetta cena.
Cosa dire poi di Renzo Bossi? Forse qualcuno non se lo ricorda, ma c’era anche lui lì a tavola. Il Trota. Quello che il Senatùr portava spesso a Tremonti, dicendogli «dai una mano a mio figlio». Il Bossino è a pezzi dopo le indagini sull’ex tesoriere leghista Francesco Belsito. È stato coinvolto in una laurea fasulla in Albania. L’hanno beccato in Marocco in vacanza, mentre la Lega crollava sotto i colpi dei magistrati. I leghisti lo dicono spesso: «Qualsiasi cosa farà nella vita lo prenderanno in giro».
Nell’allegra combriccola di allora c’è da segnalare la presenza di Aldo Brancher, da Verona, ex ministro breve per il federalismo, altra eminenza grigia nei rapporti tra Pdl e Lega, cioè tra Bossi e Berlusconi. Di nuove indagini a suo carico non se ne segnalano. Ma i magistrati che indagano su Belsito hanno dedicato inchiostro anche a lui sulle pagine delle ordinanze di custodia cautelare: anche qui storie di soldi scomparsi e poi riapparsi magicamente da altre parti.
A lui come a Roberto Calderoli, l’eterno amico dell’Aldo. L’ex ministro della semplificazione è stato un altro convitato, un altro colonnello leghista, ora triumviro, che si mormora i maroniani vorrebbero far saltare. Paghette mensili, case pagate: i leghisti sono infuriati pronti a riprendere in mano le scope. Pure a lui, come a Tremonti, la cena è iniziata a diventare indigesta l’anno scorso, quando oltre al fallimento del federalismo fiscale, gli è arrivata un’indagine per truffa ai danni dello stato per un volo usato per fini personali. Era andato a trovare la compagna Gianna Gancia a Cuneo perché il figlio si era fatto male: mette i brividi dirlo ma a quella cena c’era pure lei seduta di fianco a Calderoli.
Fino adesso, a essere rimasti fuori dalla maledizione sono Roberto Castelli e Luca Zaia. Il primo non sembra rischiare il posto nel movimento, anche se negli ultimi mesi ha difeso a spada tratta Bossi dagli attacchi dei maroniani. Il secondo è stato ascoltato dai magistrati milanesi sulla vicenda delle quote latte. Di avvisi di garanzia non se ne vedono all’orizzonte, ma in Lega meglio guardarsi le spalle. Tra cerchi magici, pentacoli diabolici e libri di magia in mansarda, c’è poco da stare allegri. La moglie di Bossi lo sa bene. Fu proprio lei l’anno scorso, d’estate, a dirgli mentre soggiornava sempre a Calalzo «torna indietro che ti stanno fregando il partito»: l’unico vaticinio azzeccato fino a questo momento.