È vero, fortunatamente India e Cina hanno portato parte della loro popolazione fuori dalla povertà. La ricerca di McKinsey («The world at work: Jobs, pay, and skills for 3.5 billion people») lo mostra chiaramente: la quantità di lavoratori nel 1980 era pari a 1,7 miliardi ma nel 2010 è salita a 2,9 miliardi.
Un numero che, dice la ricerca, spiega la pressione sui lavoratori meno qualificati dei paesi avanzati e soprattutto sui loro salari. Perché intanto le grandi imprese mondiali hanno fatto massicci investimenti in tecnologia creando una domanda di lavoratori qualificati più alta di quanto il sistema universitario riuscisse ad offrire. La combinazione di questi due fattori ha costituito un’allargamento delle ineguaglianze e ha rafforzato il lavoro rispetto al capitale: nello stesso arco temporale, 1980-2010, la quantità di reddito globale (overall income) andata al lavoro è scesa del 7%.
In India il 70% dei cittadini hanno ancora solo la licenza elementare (e in Cina il 35%) ma nei prossimi anni India e Cina sforeranno circa 200 milioni di laureati. Così l’Asia diventerà centrale anche per capitale umano e innovazione mentre noi europei diventeremo sempre più vecchi. Nelle economie avanzate 12 milioni di lavoratori qualificati andranno in pensione prima del 2030. Per mantenere una crescita dei salari saranno quindi necessari rapidi miglioramenti della produttività. Secondo McKinsey, a questi tassi di participazione al mondo del lavoro, solo per mantenere il tasso di crescita di produzione per addetto, in Italia, Spagna, Grecia e Portogallo sarà necessario un aumento della produttività dell’1,4% l’anno – più del doppio di quanto avvenuto in questi ultimi trent’anni. I lavoratori non qualificati in eccesso in giro per il mondo, nei prossimi 10 anni, saranno 90 milioni, facendo scendere ulteriormente i salari. Un ultimo dato: nel 2030 i lavoratori nel mondo saranno intanto saliti a 3,5 miliardi.