Che Capossela fosse stato allevato ascoltando rebetiko nella culla, proprio non ce lo aspettavamo. Ad essere onesti, fino a ieri, non sapevamo nemmeno cosa fosse, il rebetiko. Se lo scopriamo, oggi, è proprio grazie al cantautore di origini irpine, che ha reso il tradizionale genere musicale greco protagonista del suo ultimo disco, in uscita domani in Italia e in Grecia: “Rebetiko Gymnastas” (per La Cupa/Warner).
Capossela ha un difetto, ai nostri occhi (colmi d’invidia): sa quello che vuole e riesce, chissà come, a realizzarlo sempre. Soltanto un anno dopo l’uscita dell’acclamato “Marinai, Profeti e Balene”, il cantautore sforna infatti un nuovo gioiellino, in cui mescola canzoni nuove, cover e remake di brani già incisi in precedenza. La sensazione, ascoltando la nuova fatica di Vinicio, è che le sue canzoni fossero già state pensate per quel tipo di suono, così maledettamente a proprio agio con le melodie arcaiche e pizzicate dell’alto Mediterraneo.
Il rebetiko è il “folk greco”: affonda le sue radici nell’Ellade degli anni ’20, dentro le oscure taverne dei bassifondi frequentate dai Mangas, i poveracci dai lunghi baffi e dal caratteristico cappello. Sicuramente più autentico del famoso Syrtaki – la danza popolare creata in realtà ad hoc per la colonna sonora del film Zorba il greco del 1964 -, il rebetiko è costituito da strutture compositive derivate da generi musicali ben più antichi, suonate con strumenti musicali figli di altre epoche.
A partire dagli anni ’60, il rebetiko ha vissuto un periodo di rinnovato splendore, diventando conosciuto anche al grande pubblico. Nel disco, registrato negli storici studi Sierra di Atene su nastro analogico, Capossela si è avvalso di alcuni dei migliori esponenti contemporanei del genere: Manolis Pappos, maestro del bouzoki, una specie di mandolino a tre corde che è “l’anima” del rebetiko, Ntinos Chatziiordanou alla fisarmonica, Vassilis Massalas al baglamas, derivato del bouzoki e Socratis Ganiaris alle percussioni.
“Rebetiko Gymnastas” è l’approdo sulla terraferma dopo il grande viaggio marittimo di “Marinai, profeti e balene”. «Un disco di musiche di porto», lo ha definito Capossela. Si apre con “Abbandonato”, libera interpretazione in lingua italiana di un brano del compositore argentino Atahualpa Yupanqui, e prosegue con “Rebetiko Mou”, uno degli episodi migliori. “Misirlu” è il brano più celebre del Rebetiko, portato alla ribalta negli anni ’90 da Quentin Tarantino, che ne incluse un versione rock nella colonna sonora di Pulp Fiction: nella versione di Vinicio, la canzone riscopre le sue radici più classiche. Gymnastika, meravigliosa rivisitazione del brano russo firmato dallo scomparso Vladimir Vitsosky, è l’episodio dove appare il Capossela più giocoso e divertito.
Il cantautore dedica la seconda metà del disco – «che esce nell’anno delle Olimpiadi», sottolinea – alle riedizioni in chiave rebetika dei suoi vecchi brani. Qui si cela, forse, la sorpresa più piacevole: le canzoni non sembrano mai aver indossato vesti diverse da queste – su tutte spiccano “Contrada Chiavicone”, pubblicata ne “Il Ballo di S.Vito” e “Non è l’amore che va via”, originariamente su “Camera a Sud”. Ma non sfigurano affatto anche “Contratto per Karelias” e “Signora Luna”, gemma nascosta di “Canzoni a manovella”. Per dirla alla greca, «una faccia, una razza».
Il “debito culturale” con la terra di Atene si salda in conclusione con “Scivola vai via”, completamente stravolta rispetto all’originale di “All’una e 35 circa”, e stavolta il percorso “mediterraneo” di Capossela pare davvero arrivato a conclusione. «Durante il mio periodo in Grecia ho chiesto ai miei collaboratori di portarmi nei posti in cui veniva suonato il rebetiko», ha raccontato il cantautore presentando il disco, «e la prima volta che l’ho sentito ho pensato che fosse una musica per eletti, come se i presenti con me in quella taverna appartenessero a quella melodia. Mi ha colpito il senso di comunione che sprigiona questa musica, che è anche molto attuale in questo periodo di crisi non solo economica ma anche culturale».
Ascoltate Rebetiko Mou
E questa è invece Signora Luna, pubblicata originariamente in Canzoni a Manovella (2001) e qui rivisitata con sonorità elleniche