I graffiti che campeggiano su parti del tessuto urbano, sui mezzi pubblici e edifici di interesse storico e artistico, sono una delle espressioni artistiche più significative e controverse degli ultimi decenni. Un fenomeno in continua evoluzione per il cui giudizio si oscilla tra estremi, forse, inconciliabili. Arte altissima o ingiustificabile vandalismo. Un’espressione che, molto più probabilmente, non è possibile liquidare in maniera tranchant, dichiarandosi “a favore” o “contro”.
Nelle grandi città, soprattutto, ma anche nei piccoli paesi, le pareti di ogni genere di edifici, in basso o in alto, dove è possibile arrivare solo con lo sguardo, sono il “naturale” supporto di interventi pittorici estremamente differenti tra loro. Divertimento e virtuosismo estetico, impegno politico e sociale. Graffiti, collage e stencils quasi sempre colorati. Che disegnano quasi una storiografia inconscia. Nell’arte urbana italiana non sono però rintracciabili né la veemenza delle incursioni urbane che caratterizzavano gli albori del graffitismo americano, né la militanza degli artisti che operano nei Paesi della Primavera araba, né, tanto meno, il disimpegno tedesco. Dai vicoli nel centro di Milano, ai sottopassaggi di Pisa, passando per la periferia di Genova, al forum di Barcellona, alle facciate di alcune case di Berlino, a quelli di Roma. Disegni, talora, tracciati ovunque. Con troppa libertà. Al punto che in Italia per contrastare il fenomeno dei graffiti si spendono oltre venti milioni di euro l’anno, una cifra che va almeno triplicata se si aggiungono i costi sostenuti dalle aziende dei trasporti, per la pulizia di treni, autobus, tram e vagoni della metropolitana.
Forse anche per questo un’arte che spesso si è dovuta nascondere. Realizzata senza ufficialità. Almeno agli esordi. Ma che poi, progressivamente, ha guadagnato spazi, ha avuto il proprio riconoscimento. Sono molte le città che hanno concesso ai writers degli spazi legali dove esprimersi. Dopo Torino, alla fine degli anni Novanta, successivamente anche Milano ha seguito il trend riconoscendo il valore artistico dei graffiti del Leoncavallo. Poi accordi sono stati fatti anche a Firenze, Bologna, Trento, Lucca, Rimini e Monza.
Più di rado quei graffiti sono divenuti anche strumento di riqualificazione. Come intendeva fare, nel 2006, a Roma, il progetto “Qart”, nato dalla collaborazione tra Rete Ferroviaria Italiana, società delle infrastrutture del Gruppo Ferrovie dello Stato, e l’associazione Zerouno3nove. Un progetto che puntava a sostituire il grigio del cemento di strade, muri, piazze, scuole e aree comuni, con il colore, la creatività e un linguaggio vicino a quello dei writers. Come accaduto al Nuovo Salario, un piccolo scalo della ferrovia metropolitana della capitale, alla periferia nord. Per certi versi come accaduto nel 2007, quando il Comune di Roma per trovare una sorta di compromesso con i graffitari, insieme all’ufficio per il decoro urbano, ha lanciato il progetto Cromiae. Sono stati messi a disposizione dei giovani writers dei “muri legali”, sui quali disegnare con le bombolette spray non era reato. “Muri personali”, concessi secondo una turnazione prestabilita, per un periodo di 3 mesi ad un singolo individuo che ne aveva la gestione. Iniziativa culminata con una manifestazione internazionale (“Cromie The Appetizer”), svoltasi tra il 15 e 16 settembre in via della Stazione Tuscolana, alla quale hanno partecipato una sessantina di writers provenienti da tutto il mondo, oltre quelli “locali”. Ancora come nel 2010. Quando il sindaco Alemanno firma il patto Urban act con i writers dell’associazione Walls. Con criteri precisi. Ogni municipio avrebbe dovuto individuare quattro muri da destinare al progetti. Spazi decisi insieme ai cittadini e di proprietà del Comune.
Questo processo può dirsi abbia ora raggiunto il suo pieno compimento a Roma, al Macro. Dal 24 maggio al 4 novembre 2012 il Museo d’Arte Contemporanea Roma presenta, negli spazi della terrazza, Urban Arena, un progetto ideato in più tappe per dare più visibilità alla Street Art. La terrazza del Museo, luogo aperto al pubblico e per il rapporto osmotico che intrattiene con la città e il quartiere, diviene una sorta di palestra dove gli artisti possono misurarsi con pareti e superfici. Insomma, dopo le polemiche, la consacrazione. Il presunto vandalismo diviene arte, a tutti gli effetti.
E, a dimostrare che il mondo della street art contemporanea è mutato davvero, un nuovo elemento. La sua commercializzazione. Gli artisti di strada sono entrati nei Musei ed anche nelle Gallerie. Nei centri e negli agglomerati urbani che ripensano i loro spazi, provano i ridefinire luoghi di aggregazione, a formulare nuove proposte dell’abitare, anche i graffiti possono risultare funzionali. Se l’anarchia degli inizi si trasformerà in una regolata trasformazione degli spazi, una loro colorazione, tanti luoghi dell’indistinto che connotano ampi settori delle nostre città, avranno finalmente una loro dimensione. Settori esclusi o ai margini diverranno città. A tutti gli effetti. Per i writers l’esito a lungo insperato è vicino. I vecchi vandali si sono (quasi) trasformati in nuovi riqualificatori.