Euro 2012, ecco cosa si nasconde sotto lo stadio di Varsavia

Euro 2012, ecco cosa si nasconde sotto lo stadio di Varsavia

Ryszard Siwiec. Questo nome non vi dirà molto. No, Siwiec non è un centravanti della Polonia. Anche se, nello stadio di Varsavia dove la nazionale di casa cercherà di ben figurare in questo Euro2012 (contro Grecia e Russia; mentre contro la Repubblica Ceca si sposterà a Breslavia), lui è stato un vero protagonista. Vi si dette fuoco per protesta contro l’appoggio polacco all’invasione sovietica della Cecoslovacchia. Era l’8 settembre 1968. Ma la storia ha i suoi capricci, e ricorda solo Jan Palach, che fece lo stesso, ma quattro mesi dopo, nella piazza San Venceslao di Praga.

Con lo stadio in cui Siwiec si dette fuoco davanti a centomila spettatori, il nuovo Stadion Narodowy (Stadio Nazionale) ha poco in comune. È stato completamente riedificato per il Campionato europeo. Allora lo stadio si chiamava Stadion Dziesięciolecia Manifestu Lipcowego e, più in breve – nell’uso popolare rimasto anche dopo il crollo del comunismo – Stadion Dziesięciolecia. Il nome completo significava Stadio del Decimo anniversario del Manifesto di Luglio, ovvero della decisione del 22 luglio 1944 dei comunisti polacchi di chiudere i conti con il governo polacco in esilio a Londra e di autodichiararsi unico governo legittimo del Paese una volta liberato dai nazisti.

La tragica immagine dell’autoimmolazione di Ryszard Siwiec (con ingrandimento) 

Nonostante i tempi di costruzione, appena undici mesi – record mondiale, all’epoca, per un edificio di simile grandezza – lo stadio fu pronto per l’inaugurazione il 22 luglio 1955, ovvero nell’undicesimo anniversario (e non nel decimo) di quel Manifesto di luglio. Ma il nome rimase legato, per ovvie ragioni di altisonanza, al numero pari. Per tirarlo su furono utilizzate le pietre delle rovine della Seconda guerra mondiale. Il materiale certo non scarseggiava, visto che la città era stata completamente rasa al suolo. E l’aspetto era quello, insolito in Occidente ma piuttosto diffuso all’Est di un cratere. Allo stadio si entrava scendendo, rispetto alla superficie della città circostante, e non salendo.

Con una pista d’atletica a otto corsie e la sua massiccia architettura (la gara fu vinta dagli architetti Jerzy Hryniewiecki, Zbigniew Ihnatowicz i Jerzy Sołtan, ma dopo le direttive del partito che chiesero di rivedere pesantemente il disegno, non conforme ai dettami del Realismo socialista, gli ultimi due si ritirarono) il numero ufficiale di posti a sedere era di 71.008. In realtà molto spesso l’impianto ospitò più di centomila persone, soprattutto per sontuose manifestazioni del Pzpr (in Italia più noto con la sigla Poup), il Partito operaio unificato polacco. Il match di apertura oppose una rappresentativa di calciatori delle squadre di Varsavia a una con quelli delle squadre di Katowice. Il motivo della scelta di questa seconda città fu che allora si chiamava Stalinogród. Finì 2-1 per gli ospiti. La cosa strana del progetto era che gli spogliatoi erano molto distanti, all’esterno del bacino dove aveva sede il campo da gioco. Gli atleti impiegavano nove-dieci minuti per raggiungerli e altrettanto per tornare indietro. Fu così necessario allungare i tempi della sosta tra il primo e il secondo tempo a mezz’ora.

Il giorno in cui Ryszard Siwiec si dette fuoco era in corso allo Stadion Dziesięciolecia la Festa del Raccolto, alla presenza delle massime autorità politiche della Repubblica Popolare Polacca e ai rappresentanti diplomatici di molti Paesi alleati. Le tragiche immagini, con il pubblico che scappa e molte persone che cercano di soccorrerlo e di spegnere le fiamme con le giacche, non furono ovviamente mai mostrate in Polonia, e quei fotogrammi sono stati resi pubblici solo dopo la fine del periodo comunista. Eccoli:

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Siwiec morì per le ustioni quattro giorni dopo. Si era preparato meticolosamente al sacrificio. Aveva registrato un messaggio audio in cui accusava l’Unione Sovietica di imperialismo e di preparare una Terza guerra mondiale. E in cui si rivolgeva «alle persone che hanno ancora un barlume di umanità». Chiedendo: «Mettetevi assieme! Ascoltate il mio pianto! Il pianto di un semplice vecchio uomo, il pianto di un figlio di una nazione che ha sempre amato la sua libertà e la libertà degli altri più di tutto e della vita stessa. Unitevi! Non è ancora troppo tardi!» Ustionato, fu subito portato via dalla polizia segreta che lo sorvegliò notte e giorno in ospedale. Nulla dunque riuscì a trapelare del suo gesto (anche una lettera d’addio che aveva spedito alla moglie fu bloccata dai servizi di sicurezza e lei ha potuto leggerla solo vent’anni dopo). Nessun giornale dell’Ovest capitalista ne ebbe notizia. La stessa Radio Free Europe, l’emittente anticomunista voluta dagli Usa che trasmetteva nei Paesi dell’Est, ebbe alcune segnalazioni del fatto ma, in mancanza di conferme, non lo ritenne reale. Ecco (con sottotitoli) la registrazione del messaggio di Siwiec:

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Quando decise di immolarsi, Siwiec aveva 59 anni. Era del 1909 e la storia della sua vita era già un mezzo compendio storico-geografico. Era nato in Austria-Ungheria, perché allora Dębice, sua città natale, e la Galizia, facevano parte dell’Impero. Negli anni Venti la sua famiglia si era trasferita a Leopoli, una delle principali città dell’Est polacco, poi finita, dopo la Seconda guerra mondiale, nelle mani e sulla carta geografica dell’Urss (ora è in Ucraina e anche lì si giocano alcuni match di questo Europeo). Proprio a Leopoli si era diplomato e laureato. Dalla metà degli anni Trenta aveva lavorato all’ufficio delle tasse di Przemyśl. Ma quando il Paese fu occupato dai nazisti, si rifiutò di continuare a raccogliere imposte per i tedeschi, e lasciò il lavoro, iniziando a fare il giardiniere. Combatté nell’Armja Krajowa, l’esercito di liberazione non comunista. Dopo la guerra mise in piedi un’azienda che produceva vino e miele. Quando gli affari cominciavano ad andare bene, il nuovo governo comunista gliela nazionalizzò. Rimase, stavolta, ma come semplice contabile. Nel 1945 si sposò, con Maria, ed ebbe cinque figli. Non tolse mai dal salotto il ritratto del maresciallo Józef Piłsudski, che aveva sconfitto i bolscevichi nel 1920, quando volevano prendersi anche la Polonia.

Nel 1968 rimase fin dall’inizio molto colpito dai moti studenteschi che agitarono Varsavia e altre città polacche. Contribuì alla causa scrivendo alcuni manifesti in supporto degli scioperi con lo pseudonimo di Jan Polak. Ma fu con l’invasione della Cecoslovacchia nell’agosto di quell’anno che un progetto che covava in lui divenne concreto: quello di darsi fuoco davanti a centomila persone allo Stadion Dziesięciolecia; il primo europeo a seguire l’esempio del vietnamita Thích Quảng Đức, che nel 1963 era diventato simbolo mondiale grazie anche alla celeberrima foto di Malcolm Browne. Quanto a Siwiec, solo nel 1991 la sua storia venne completamente a galla, grazie soprattutto al lavoro del regista Maciej J. Drygas Usłyszcie mój krzyk («Ascoltate il mio pianto»), che vinse il premio come Miglior documentario europeo dell’anno. Eccolo in versione integrale:

Ma molto altro ancora ha visto, nella storia di Polonia, il glorioso Stadion Dziesięciolecia e il pubblico seduto sulle sue tribune di legno. Nel 1983, durante il secondo viaggio nella sua Polonia, Giovanni Paolo II tenne qui una gigantesca messa il 17 giugno, riempiendolo con oltre 100mila fedeli radunati sotto una enorme croce che sfidava il potere socialista. Ecco le immagini di quel giorno:

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Era la fine dello Stadion X-Lecia (così veniva abbreviato) come luogo di incontri di massa, sportivi, politici o religiosi. La vecchia concezione nella realizzazione ne rendeva troppo costose gestione e manutenzione. Due mesi prima, il 17 aprile, con un’ultima partita (finita 1-1 contro la Finlandia) la nazionale polacca aveva dato l’addio al suo covo. Ma non era ancora la fine della sua vita da protagonista nella storia polacca. Nel 1989, anno dell’approdo al sistema capitalistico, lo Stadion diventava il più grande mercato d’Europa. La società Damis lo prendeva in affitto e vi apriva lo Jarmark Europa, un insieme di baracche e bancarelle dove si vendeva di tutto, ma proprio di tutto. Scarpe, vestiti, alimentari, cd contraffatti, memorialistica parasovietica e che era un ricettacolo, secondo la polizia, di commerci ben meno leciti. Il 22 agosto 2008 il mercato ha chiuso. Le bancarelle sono state spostate in una zona più scomoda e vivono oggi una grossa crisi. Qui sotto, nel video, l’ultimo giorno del mercato: 

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La famiglia di Siwiec aveva sperato, all’inizio dell’avventura dell’Europeo assegnato a Polonia e Ucraina, che potessero intitolargli lo stadio di Varsavia. Non è andata così, ma il 5 maggio gli sono stati dedicati un monumento e una via vicino al nuovo impianto, sorto sulle fondamenta del glorioso Stadion Dziesięciolecia.

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