A via dell’Umiltà ci stanno lavorando già da qualche tempo. Da prima che Angelino Alfano annunciasse le primarie del centrodestra per il prossimo autunno. L’obiettivo è ambizioso: celebrare le prime elezioni interne per la scelta del candidato premier – novità assoluta nel centrodestra italiano – attraverso una votazione online. Le web primarie del Popolo della Libertà.
Si potrà ancora votare nei gazebo? E gli elettori che ancora non hanno una connessione internet? La squadra berlusconiana che si occupa di comunicazione internet, guidata dal deputato Antonio Palmieri, è al lavoro per risolvere alcune questioni tecniche. «Stiamo studiando a fondo le possibilità che le nuove tecnologie ci offrono» raccontano. Di certo non c’è alcuna voglia di improvvisare. Ecco perché al termine dell’ufficio di Presidenza del Pdl di venerdì scorso Alfano ha annunciato «primarie per il premier e primarie di programma anche in rete».
Insomma, al momento le uniche votazioni online ufficiali saranno quelle per definire le priorità d’azione di un eventuale prossimo governo di centrodestra. La vera sfida, però, è riuscire a trasferire sulla rete anche le primarie per la premiership. I tecnici che stanno perfezionando il nuovo sistema di voto sono alle prese con alcune incognite. Prima tra tutte la legge elettorale. A seconda del modello scelto dal Parlamento sarà necessario approntare un apposito regolamento (si potranno candidare solo esponenti del Pdl o saranno aperte a tutta la coalizione?). Ancora più importante sarà capire se il governo Monti arriverà a fine legislatura. Perché il primo nemico delle primarie – non fosse altro che per una questione di tempo – sono le elezioni anticipate.
Gli organizzatori delle web primarie del Pdl sono al lavoro. Si valutano sistemi di controllo stringenti per garantire la trasparenza dei risultati. Secondo alcune indiscrezioni avranno un ruolo importante i social network, al centro della comunicazione berlusconiana già da qualche tempo. Una delle ipotesi al vaglio dei tecnici di via dell’Umiltà, poi, è l’abbinamento di ogni elettore al proprio numero di telefono cellulare. Per limitare il rischio di preferenze multiple. Attualmente, però, la preoccupazione principale riguarda il potere di verifica degli scrutini da parte dei candidati. Nelle elezioni tradizionali si possono spedire dei rappresentanti di lista nei seggi per verificare lo spoglio delle schede. Ma sul web come si fa?
Intanto negli uffici del Pdl si analizzano diverse esperienze, più o meno recenti. Anzitutto la campagna del dicembre 2007 per la scelta del nome del partito. Per battezzare il nuovo movimento, quattro anni e mezzo fa Silvio Berlusconi aveva aperto una consultazione pubblica. Oltre che nei gazebo allestiti nelle principali piazze italiane, ai militanti era stata data la possibilitàdi votare sul sito internet di Forza Italia. Con qualche accorgimento. Per limitare brogli e preferenze multiple gli organizzatori avevano previsto un sistema semplice e, in parte, efficace: ogni indirizzo IP poteva esprimersi un’unica volta. (Per la cronaca alla fine la spuntò “Popolo della Libertà” con il 63 per cento dei voti, davanti a “Partito della Libertà”). Regolamento simile qualche mese più tardi, quando su www.pdl.it simpatizzanti ed elettori furono chiamati a scegliere “le priorità del programma”. I provvedimenti più urgenti che il futuro governo avrebbe dovuto varare, divisi per argomenti. Famiglia, sicurezza, lavoro.
Non solo. I tecnici pidiellini stanno studiando anche altre esperienze. Si tratta delle sperimentazioni di voto online introdotte dal terzo governo Berlusconi tra il 2005 e il 2006. Oggi i risultati e le metodologie di quei tentativi sono a disposizione della squadra di via dell’Umiltà. C’è lo scrutinio elettronico introdotto dal ministero dell’Interno durante le Regionali della Liguria 2005 (dal tentativo furono interessate 1.800 sezioni e oltre un milione e mezzo di elettori). E ci sono le prove di informatizzazione del voto applicate alle Politiche dell’anno successivo – quelle vinte dal centrosinistra di Prodi con solo 24mila voti di scarto alla Camera dei deputati – che riguardarono 12mila sezioni elettorali in Sardegna, Liguria, Puglia e Lazio. Progetti finanziati dal governo, poi abbandonati.