Ci saranno pure «40 gradi all’ombra e la gente al mare a pensare alla formazione dell’Italia di domani mentre noi siamo qui a lavorare», come chiosa dal palco il segretario nazionale lombardo Matteo Salvini, in pantaloncini corti e orecchino. Ma la fotografia del primo giorno del congresso federale della Lega Nord al Forum D’Assago è quella di un partito alla ricerca disperata di una sua identità politica e lontana dalla vecchia nomenklatura dell’ex leader Umberto Bossi. E a fissare l’immagine per futura memoria, non sono solo gli spalti vuoti del «palassetto» (copyright Flavio Tosi), o lo striscione per «L’Europa dei Popoli» dove manca persino la data come per le storiche occasioni.
È soprattutto la confusione di alcuni interventi dai contenuti politici molto differenti – come la mozione sui temi etici di Massimo Polledri contro eutanasia e le coppie di fatto bocciata dal segretario nazionale lombardo Matteo Salvini – a testimoniare una strada in salita per tutto il partito di via Bellerio. Il comunicato stampa distribuito all’entrata ai giornalisti non mente: «Il nostro movimento attraversa un momento cruciale per la propria sopravvivenza. Sicuramente qualcuno di noi, insieme a qualcuno che era con noi senza essere dei nostri, ha compiuto degli errori». Non c’è nessuno in tribuna, ma l’onorevole Davide Caparini, a colpi di tweet, demolisce il flop «strombazzato» sui giornali: «477 delegati accreditati su 630 pari al 76×100: la migliore affluenza di sempre al primo giorno e senza voti».
Affluenza o non affluenza, la missione della nuova Lega 2.0 sembraquella di sopravvivere. Roberto Maroni – che qualcuno come Erminio «Obelix» Boso ha già soprannominato «comandante» – continua la lunga «traversata nel deserto» iniziata alla fine delle ultime elezioni amministrative. Il rischio di scomparire è alto. Tra «i movimenti violenti» di Beppe Grillo, come dice il segretario romagnolo Gianluca Pini. O tra «Pd e Pdl che sono la stessa cosa», ribadisce Tosi, per ben due volte durante il suo intervento. Su Grillo bisogna aprire una parentesi quadra. Perché Sonia Viale, segretario regionale ligure, tende a insistere su questo punto nel suo intervento: «Non c’è Grillo che tenga. Temi come la lotta alla mafia o l’immigrazione clandestina, o l’indipendenza del nord sono nostri e basta».
Sono appunto i maroniani di ferro, quelli che per due anni hanno continuato a sparare contro il cerchio magico di Umberto Bossi fino a demolirlo, a risollevare le sorti di una giornata noiosa, caratterizzata da qualche attacco a Maroni o al governo Monti: fino alle 19 la notizia era l’appoggio incontrastato dei leghisti al «padano di colore» Mario Balotelli (copyright Mario Borghezio). Tra gli storici cerchisti si segnala il senatore Giovanni Torri, nemico acerrimo di Bobo, anche se prima era il suo autista. Il leghista di Parma, ora di stanza a Inzago, ne dice di tutti i colori. «Se io sono maroniano, allora Borghezio è magro», spiega ai cronisti a margine, per poi rincarare la dose dal palco: «Maroni è uno che non ci va ai bar di Laveno…».
Dettaglio, quest’ultimo del «baretto lungolago», che farà sorridere più di un barbaro sognante. Perché in quel bar spesso ci va un codazzo infinito di seguaci del Senatùr per dirgliene di tutti i colori e cercare sponde improbabili mangiando un gelato. Insomma se Torri cerca di risollevare le sorti di un cerchio magico alle strette, il risultato è opposto. Lo stesso Salvini, che il senatore parmigiano attacca perché non si è ancora dimesso da consigliere comunale dopo l’elezione a segretario, gli risponde a tono: «Mi dimetterò stai tranquillo».
Spalti semivuoti per il primo giorno di congresso federale leghista
D’altra parte, Federico Bricolo, capogruppo al Senato, è ormai considerato un mezzo barbaro sognante. È l’unico dei pretoriani storici di Gemonio a farsi vedere in giro, spesso a chiaccherare con Giacomo Stucchi, fedelissimo di Maroni. Non c’è Marco Reguzzoni, mentre le sorti della Lega bossiana sono affidate a Marco Desiderati, l’ex sindaco di Lesmo. Quello che alcuni hanno soprannominato «sottiletta» – in realtà lo si nota per la stazza – è candidato al consiglio federale in Lombardia. Su sette candidati tutti vicini a Bobo, tra cui Andrea Mascetti, lo stesso Stucchi e Paolo Grimoldi, Desiderati è l’unico che negli ultimi mesi ha cercato di ostacolare Maroni. Ma di correnti non c’è più da discutere. «Non ci devono essere», insiste Roberto Calderoli, ex ministro per la Semplificazione, promettendo di tornare a «due cifre» in risultati elettorali.
Così, tra chi come Piero Fusconi, leghista emiliano, chiede a «Bossi di andarsene» o chi come Vittoria Braga ricorda che «è giusto non pagare le tasse», a strappare gli applausi alla platea sono i barbari sognanti di ferro. Salvini e Tosi, nuovi segretari in Lombardia e Veneto, infiammano la folla. Il primo, lombardo, chiede più «cattiveria» e spegne sul nascere le polemiche interne sulla nuova Lega. «Non siamo la nuova Lega, questa è la stessa Lega state tranquilli. Pontida ci sarà». Ma poi, l’europarlamentare aggiunge. «Cerchiamo l’indipendenza, ma non basta più dire Padania Libera. In questi anni abbiamo continuato a sbattere la testa contro il muro: dobbiamo trovare una nuova strada».
Il primo cittadino scaligero, invece, lancia un allarme. «Abbiamo bisogno di credibilità. Siamo i primi che abbiamo fatto pulizia, ma non dobbiamo fermarci a metà. La svolta devi farla tutta intera sennò non sei credibile». Credibilità e cattiveria: sembrano essere queste le due parole d’ordine di questa Lega 2.0. Bossi non c’è, ma alla fine non se ne sente la mancanza. In tanti lo citano durante gli interventi, ma gli striscioni e gli applausi sono tutti per Maroni.
Bobo domani sarà incoronato per acclamazione, dopo la sua incoronazione a candidato unico alla segreteria con 400 firme su 600. Il Senatùr parlerà per primo e forse se ne andrà quasi subito. Poi toccherà ai governatori, quindi al nuovo segretario. E quindi sarà nominato il consiglio federale. A guardare bene, però i problemi veri inizieranno lunedì. «Torneremo a lavorare tutti insieme» assicura Salvini.
Bisognerà vedere come andranno le mozioni presentate. Quali saranno approvate e quali no. Dopo quella sui temi etici di Polledri – tra i firmatari pure Giuseppe Leoni – c’è quella di Mario Borghezio che chiede ancora la «secessione»: un punto su cui Tosi ha già detto di non essere d’accordo. Sul federalismo fiscale, invece, come sui mali di Mario Monti, dell’Italia, di abbattere la pressione fiscale, di emancipare il nord da Roma, tutto bene. Basterà?