Portineria MilanoLa nuova Lega teme il flop e abbandona Venezia e il “dio Po”

La nuova Lega teme il flop e abbandona Venezia e il “dio Po”

Correva l’anno 1996. E a Umberto Bossi, ormai ex leader della Lega Nord, venne un’idea per uscire dalla solitudine elettorale del primo post governo Berlusconi: «Facciamo la festa dei popoli padani per la secessione del Nord», queste più o meno le parole dell’allora statista di Gemonio con i colonnelli di via Bellerio. Fu l’inizio di una storia arrivata fino al settembre del 2011. Tra il rito dell’ampolla sul Monviso a Pian del Re in Piemonte, la discesa in battello lungo il «dio Po», province di Mantova e Ferrara, fino alla riva degli Schiavoni di Venezia, dove il Senatùr nel 1996 fece il famoso discorso di indipendenza della Padania.

Ebbene, tutto questo sta per scomparire. La nuova Lega 2.0 di Roberto Maroni, che sarà consacrata dopo il congresso del 30 giugno, è pronta a stralciare dagli appuntamenti «il rito pagano» dell’acqua che ogni anno veniva versata sulla testa del Trota Renzo Bossi. Tra le tradizionali adunate leghiste, a quanto pare, si salverà soltanto Pontida, il sacro suolo rimasto comunque un simbolo di identità per tutti i militanti: non si farà in luglio ma probabilmente slitterà proprio in autunno. Il tempo per riorganizzarsi, ma anche per ritrovare entusiasmo e slancio in una militanza sempre più sfiduciata dopo gli scadali degli ultimi mesi. 

Del resto i rituali di settembre tra Piemonte e Veneto – oltre all’obiettivo di unire le varie anime regionali leghiste spesso in battaglia – erano diventati una vera consacrazione del cerchio magico bossiano. Maroni si faceva vedere poco. E anche Bossi, debilitato per la malattia del 2004, proprio nel 2010, scendendo dal monte piemontese disse senza troppi giri di parole di aver «fatto fatica». Ma la celebrazione del cerchio, durante questi appuntamenti, la si notava nei dettagli. Sul palco dell’ultima Venezia Bossi, ad esempio, era circondato solo dai cerchisti, con in prima fila Rosi Mauro, Francesca Martini e Federico Bricolo. Nel dietro le quinte la moglie Manuela Marrone, nella sua ultima uscita pubblica.

Pensare che nel settembre di 16 anni fa, su a Pian del Re, come ricorda Giuseppe Baiocchi nel libro «Bossi, storia di uno che a modo suo ha fatto la storia», Gianni Agnelli, l’avvocato, storico patron Fiat, «volteggiò a lungo in elicottero» per vedere cosa stava combinando quello strano «animale» del Senatùr tra la «sua» gente. Dodici anni dopo, nel 2008, proprio sul Monviso nacque il mito del «Trota», quando alla domanda di un giornalista se «Renzo fosse il delfino», il Capo rispose con il nome del più famoso pesce di acqua dolce.

A metà degli anni ’90 iniziava così il mito della Lega secessionista. Gli anni di «Roma ladrona» e degli insulti contro «il nano piduista Berlusconi». Poi le cose andarono diversamente, tra accordi e accordicchi, quasi 12 anni di asse del nord, la cena degli ossi a Calalzo di Cadore e gli ultimi scandali sui rimborsi elettorali del Tanzaniagate dell’ex tesoriere Francesco Belsito. Ora è tutta un’altra storia, tanto che anche uno come Flavio Tosi, sindaco di Verona, si permette tranquillamente di dire che «la secessione non è in costituzione». Una frase che smentisce così il vecchio Senatùr, che ogni volta durante i comizi cerca di nuovo di scaldare gli animi con gli antichi slogan. Spesso invano.

L’acqua presa alla foce del Po è sempre rimasta in questi anni. Scriveva sempre Baiocchi che fu direttore della Padania alla fine degli anni ’90. «Il fiume insieme sacro e magico, spina dorsale della diletta Padania, e tuttavia in grado di far trascorrere la stagione dell’isolamento, nel quale la Lega viene descritta e vissuta all’esterno in alternativa tra «costola della sinistra» e «destra xenofoba neonazista’». Ma di magie, riti celtici, cerchi magici, corna, folklore, la nuova Lega di Maroni non vuole più sentire parlare.

Lo stesso Bobo ha più volte detto che di «leghisti con le corna non ne vuole più vedere», mentre sul Barbarossa e sulla Lega dei comuni di Pontida continua a insistere, anche nei suoi post su Facebook. «Ci proiettiamo verso la macroregione europea, cerchiamo più concretezza e meno simbologia, meno slogan e più contenuti», dice un fidatissimo di Bobo. Franco Manzato, assessore della giunta di Luca Zaia, in Veneto ha già le idee chiare in testa. «La Macroregione è una prospettiva di sviluppo, ma è anche una sfida: istituzionale, progettuale e culturale». 

Obiettivi difficili da raggiungere nel breve periodo. «Ma ci si lavora», assicurano i barbari sognanti. Perchè, al momento, dentro il Carroccio mancano i contenuti. A lavorarci è il professore Stefano Bruno Galli dell’Università Statale di Milano, uno che proprio durante l’ultima seduta del parlamento del nord, richiamandosi al pensiero di Gianfranco Miglio disse: «L’euroregionalizzazione si sta imponendo quale criterio di aggregazione degli interessi e degli indirizzi politici territoriali, alimentandone le identità culturali. Proprio per questo motivo, Unione europea e Regioni trovano uno spazio di convergenza politica che nei fatti e nelle dinamiche politiche e istituzionali sostanzialmente esclude lo Stato centrale».