BRUXELLES – «Siamo a un vicolo cieco». Un diplomatico di un grande paese dell’Europa del Nord allarga le braccia quando gli si chiede sulle prospettive del vertice Ue di domani e venerdì. E sospira. Esplicita quello che ha detto questa mattina la stessa cancelliera tedesca Angela Merkel, nella sua dichiarazione di governo di fronte al Bundestag sul vertice. «Non mi faccio illusioni – ha affermato – mi aspetto a Bruxelles discussioni controverse. E se non tutti, molti occhi saranno puntati ancora una volta sulla Germania». Certo, è tipico della Merkel abbassare le attese prima dei vertici. Questa volta, però, la sensazione diffusa è che sia diverso, che ci sia più del suo solito rito scaramantico. E pochi, a proposito di illusioni, se ne fanno sull’incontro prevertice stasera a cena a Parigi tra la Merkel e il presidente francese François Hollande. «Pensavamo sarebbe stato più pronto al compromesso – dice una fonte tedesca del titolare dell’Eliseo – ci siamo sbagliati».
A poche ore dal Consiglio europeo di domani e venerdì non si scorge una luce, un accordo, la svolta che i mercati e i cittadini attendono. Anzi. I leader sembrano posizionarsi, evidenziando le loro divergenze, più che il tentativo di un cammino comune sui punti chiave. Gli accordi semmai sono su aspetti relativamente minori, come i 130 miliardi di euro per la crescita da ricercare tra le pieghe del bilancio Ue, e in massima parte già stanziati da tempo, o l’aumento di capitale da 10 miliardi della Bei. Sui punti cardine, immediati, come gli spread italiani e spagnoli ormai a livelli molto pericoloso, non si scorge un’intesa tra la Germania da una parte e gli altre tre “grandi” dall’altra.
Il premier spagnolo Mariano Rajoy, in Parlamento, ha già lanciato un grido d’allarme. «La questione più urgente – ha affermato – è quella di finanziamento. Non possiamo continuare a finanziarci a lungo con questi tassi». È d’accordo anche la Commissione, «a lungo termine questi spread non sono sostenibili», dice Amadeu Altafaj, portavoce del commissario agli Affari economici Olli Rehn. È il problema anche di Mario Monti, che nutre una crescente frustrazione, se non una vera e propria irritazione anzitutto nei confronti della Germania. Berlino, commentano diplomatici a Bruxelles, a parole riconosce che l’Italia ha imboccato un percorso di riforme (la stessa Merkel, in effetti, oggi ha avuto parole di elogio per il presidente del Consiglio, che, a suo dire, ha affrontato un percorso «di solidità e crescita») e paga spread sproporzionati ai fondamentali per elementi «esogeni» (la Grecia e la Spagna, anzitutto).
Poi però quando si tratta di individuare le soluzione arriva una «raffica di no». Non a caso Monti se la prende non solo con la cancelliera, ma anche con il presidente della Bundesbank (ed ex stretto collaboratore della leader tedesca) Jens Weidmann, che il premier ha accusato di «non aver capito» le proposte italiane. Lo stesso Weidmann oggi, vigilia del vertice, ha pubblicato un lunghissimo fondo sulla Süddeutsche Zeitung ribadendo le posizioni tedesche: più controllo e sanzioni per chi sfora sulla disciplina di bilancia, niente eurobond, niente intervento massiccio della Bce, unione fiscale. Per chi non avesse capito, oggi nella sua dichiarazione al Bundestag, Angela Merkel ha ribadito il concetto: «Eurobond ed eurobill non rispettano la costituzione tedesca e sono la soluzione sbagliata dal punto di vista economico», e «è imperativo che non promettiamo cose che non possiamo poi fare e che invece attuiamo quel che abbiamo concordato». Una bocciatura senza mezzi termini del rapporto dei presidenti di Consiglio Ue, Bce, Commissione ed eurogruppo presentato ieri a Lussemburgo.
Il Financial Times suggerisce al Professore di prendere di petto la Merkel, ma probabilmente non sarà proprio così. Eppure già il vertice di Roma, dicono fonti diplomatiche, ha impressionato la cancelliera, si racconta che sia apparsa un po’ «frastornata», quasi messa all’angolo da Monti, Rajoy e Hollande. Tra l’italiano e la tedesca, si è creato una sorta di botta e risposta a distanza: più il Professore, insiste sull’urgenza, più la leader tedesca frena: «Dico subito quello che non sarà mai detto abbastanza – ha dichiarato oggi al Bundestag – non esiste alcuna soluzione facile e veloce a questa crisi». «È fatta così – spiega un diplomatico che la conosce bene – quando, come ora, si sente messa sotto pressione da ogni lato, interno come estero, lei si ferma, fa due passi indietro, e si prende tempo per pensare».
Monti, è chiaro, spalleggiato da Hollande e Rajoy, al summit premerà al massimo per la sua idea di un meccanismo per far intervenire in modo semi-automatico il fondo salva-stati Esm, o la Bce con la garanzia dell’Esm, affinché acquisti titoli di Stati «virtuosi» per far scendere gli spread. I tedeschi, difficilmente cederanno. Per ora, un’apertura è giunta solo su un aspetto importante, ma diverso da quello che vuole Monti: che il fondo Esm rinunci allo status di “senior”, quello cioè che garantisce che i suoi crediti abbiano, per i rimborsi, precedenza su tutti gli altri creditori – con questa clausola i 100 miliardi di euro promessi alla Spagna farebbero scappare tutti i privati. Per il resto, la posizione tedesca è sempre la stessa: è vero che l’Esm può acquistare bond sovrani dal mercato secondario, ma solo a fronte di una formale richiesta di aiuto e un memorandum d’intesa, e su questo concorda la Commissione europea. Immaginiamoci i mercati se l’Italia chiedesse formalmente aiuto. La Merkel, del resto, ha le mani legate: venerdì alle 18 il Bundestag vota sui Trattati Esm e Fiscal Compact, e la stessa coalizione della cancelliera ha voluto rinviare il voto a dopo il vertice proprio per legare le mani al capo del governo. Cedere per la leader tedesca vorrebbe dire rischiare il sì ai due trattati. Una costellazione che Roma non ha gradito affatto.
La speranza? Varie fonti diplomatiche – a meno di un miracolo, un coniglio estratto dal cilindro all’ultimo momento – considerano già un successo se nelle conclusioni il Consiglio «prendesse nota» del rapporto dei quattro presidenti, spacciandola come una sorta di via – lunghissima – o almeno un orizzonte futuro per l’Europa. Uno straccio di road map, anche se senza tappe, scadenze, calendario. Ne ha bisogno Mario Draghi per poter intervenire con la sua Bce. E ci si illude che i mercati, in qualche modo, si accontentino. Altrimenti, si sente dire a Bruxelles, «sapremo chi è il colpevole».